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Franklyn
"Questa notte ucciderò un uomo" recita la locandina del lungometraggio d’esordio dell’inglese Gerald McMorrow, la cui gavetta nell’ambito della celluloide pare sia cominciata addirittura sul set di "Hardware", cult-movie della cultura splatter cyberpunk firmato nel 1990 da Richard Stanley.
Un lungometraggio che, impreziosito da un nutrito cast comprendente sia recenti rivelazioni quali Eva "Casino Royale" Green e il televisivo Sam Riley che veterani del calibro di Bernard Hill e Susannah York, rischia erroneamente di spingere lo spettatore ad accomunarlo alla recente moda delle pellicole tratte dai fumetti, a partire dall’intrigante look sfoggiato dal protagonista.
Per la quasi totalità del film, infatti, é sotto una maschera a metà strada tra quella di Rorschach, visto nel recente "Watchmen", e le bende del vecchio uomo invisibile cinematografico che il Ryan Phillippe di "Cruel intentions" recita la parte dell’unico abitante ateo della gotica Città di mezzo, dove tutti seguono un culto, mentre apprendiamo che la sua esistenza è collegata alle vite di altre tre anime.
Ed è la sua onnipresente voce narrante ad accompagnarci in questo atipico viaggio tra fede, destino e pazzia che, costruito su lenti ritmi di narrazione decisamente lontani dallo stile facilmente incalzante dei prodotti hollywoodiani, concede pochissimo spazio ai momenti d’azione, ricordando in parte titoli come "Dark city" di Alex Proyas e "V per vendetta" di James McTeigue.
Un viaggio che, tempestato d’amore romantico, trova il suo maggiore punto di forza nelle curate costruzioni scenografiche, ulteriormente valorizzate dalla bella fotografia di Ben "The pusher" Davis, dominata da toni estremamente cupi durante le sequenze notturne e dispensatrice di un’atmosfera piuttosto grigia in quelle diurne.
Mentre ci si chiede per quale motivo accadano cose cattive alle persone buone e si approda a un non troppo chiaro epilogo che, se da un lato ci rende consapevoli della complessità alla base della vicenda raccontata da McMorrow, dall’altro ci spinge a pensare che la sua scelta di rendere di difficile comprensione l’insieme non sia altro che uno stratagemma volto a camuffare di originalità un soggetto altrimenti banale.
La frase: "Ci sono talmente tante fedi registrate in questa città che è diventato difficile essere originali".
Francesco Lomuscio
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