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Dreamland - La terra dei sogni











L’atmosfera di un’Italia "lontana da se stessa", di un quotidiano clima di attesa e tensione, e le paturnie per un territorio ravvisabili talvolta nei dialoghi tra connazionali.
È questo lo sfondo di "Dreamland – La terra dei sogni" scritto da Ivano De Cristofaro e Sebastiano Sandro Ravagnani, e diretto da quest’ultimo, e che uscirà nelle sale il prossimo 8 luglio.
Il film racconta, sullo sfondo di una Little Italy americana, la vita di James De Cristofaro (ambiguità con l’interprete non casuale), giovane bullo affiancato dalla sua "gang" con la quale riscuote periodicamente il "pizzo" presso vari "business" e sovente impegnato in lotte e sfide con le altre bande del quartiere. Parla inoltre del suo "cammino di redenzione" che lo fa diventare più altruista e rispettoso verso gli altri, e dell’improvviso sogno di fare il pugile (argomento un po’ troppo amaramente introdotto, con una finale di pesi massimi in piazza alla quale assistono, contate, ventuno persone).
La sua vita è spesso affiancata da Frank, ex atleta che si è riciclato all’artigianato e alla falegnameria, e che prende James a cuore, nonostante i diversi problemi che questo gli causa, vedendo in lui la proiezione del figlio morto prematuramente, e che non ha potuto mai crescere.
Ma, in fondo, forse è proprio questo il punto debole di Dreamland: il voler raccontare tante storie non intrecciate contemporaneamente, ottenendo come unico risultato, una raccolta di brevi novelle frazionate: spezzoni che iniziano e si concludono con una dissolvenza sul nero, che rompe il ritmo e non dà linearità alla pellicola, il tutto enfatizzato dal livello recitativo degli attori, i quali, a parte Sperandeo (relegato però ad un ruolo di riempimento) oscillano, con la loro interpretazione, tra battute scolastiche scritte senza impegno e un’accennata improvvisazione che ancora una volta smorzano i tempi del racconto.
Ancora dubbie restano talune scelte, come il far ripetere due volte una stessa frase, di tanto in tanto, l’una in inglese, l’altra in italiano-siciliano. Ma ancor più dubbia resta la scelta di far parlare quattro bulli spagnoli (anche loro emigrati), e per l’appunto definiti "Ispanici", con un netto accento del centro-sud italiano, persino nell’unica scena in cui si vedono tutti e quattro, da soli, in cui si presuppone dovrebbero chiacchierare nella loro lingua madre.
Il tono della pellicola, e della stessa regia, oscilla come la recitazione degli attori, cercando di dar vita a quel clima d’attesa e sospensione tipica dei western leoniani, mediante l’espediente dei primissimi piani, la cui apposizione accanto alle altre sembra essere fatto alla svelta, e lasciando dunque un po’ a desiderare.
Ma Dreamland, c’è da ricordare, che comunque è il primo di una trilogia, che verrà seguita, secondo i piani, quest’anno dalla produzione del secondo, e nel 2013 dalla conclusione. Chissà, forse col crescere della storia, miglioreranno nel resto anche i seguenti due.

La frase:
"My boys will become a champion… il mio ragazzo diventerà un campione della boxe".

a cura di Ivan Germano

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