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Draquila - L'Italia che trema
Una tragedia utilizzata per trasformare una città da 70 mila abitanti in un laboratorio. A L'Aquila, dove il terremoto della notte del 6 Aprile 2009 ha causato 308 vittime e l'evacuazione forzata, Sabina Guzzanti ha intervistato con obiettività abitanti, istituzioni e tecnici, mentre il suo punto di vista è poi emerso nel costante ricorso alla voce fuori campo, nell'analisi della gestione della catastrofe, nei satirici intermezzi d'animazione pop, nei siparietti comici, nei filoni d'inchiesta. La regista scopre, mette insieme elementi, evidenzia, pone domande, fa ipotesi sull'ignorato allarme da sciame sismico di 4 mesi prima, sugli scandali, sul piano case annunciato 4 giorni dopo le scosse, su un G8 da 185 milioni di euro con abnormi voci di spesa per accessori, sulle nuove costruzioni in luoghi vietati e intorno a centri commerciali.
Metà popolazione è stata spostata in alberghi lontani sulla costa, l'altra metà nelle tendopoli. Queste sono delimitate da recinzioni, all'interno non si vendono alcolici o bevande eccitanti, viene negato l'accesso ad estranei e la possibilità di critica. Qualcuno però, come il professor Raffaele Colapietra, ha preferito rimanere nella città fantasma, nonostante le intimidazioni da parte delle autorità; e nonostante un'opposizione parlamentare assente e le poche persone a protestare, dopo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che coinvolgono cinici costruttori, la folla, sfondando le transenne per riprendersi il centro storico, ha dimostrato capacità reattive.
Ma sopra l'intero Paese volteggia come un vampiro ("Draquila", appunto) l'emergenza equiparata per legge al grande evento (nel documentario ne vengono individuati 35, la metà dei quali religiosi, stabiliti grazie alla nuova norma). Ciò prevede un commissario straordinario con deroga alle regole, una Protezione Civile che gli affaristi vorrebbero trasformata in S.p.A. (da quando ne è a capo Guido Bertolaso ha distribuito 10 miliardi di euro), ricorsi al TAR dai costi raddoppiati. Perciò, in un inquietante finale, suonano scacciapensieri e marziali tamburi da marcia funebre.
La frase: "Ecco perchè sono vittima della disinformazione: ho creduto a quello che mi si diceva".
Federico Raponi
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