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Yi nian zhi chu - Do over
Un giovane con le braccia spalancate blocca il passaggio ad alcune macchine in una stretta stradina di campagna. Il nervosismo sale, poi scende qualcuno agitando una pistola. La via era bloccata per favorire le riprese di un film. Fa una certa impressione vedere una scena che iconograficamente ricorda l'uomo che ferma il carro armato in piazza Tien An Men, anche se in maniera ovviamente criptica. Così è l'inizio di Do Over, prima pellicola di Yu-chieh Cheng, che ha già vinto il premio della critica e del pubblico al Festival del cinema di Taipei, concorrendo poi alla Settimana della critica al 63° Festival di Venezia.
Do Over si caratterizza per una struttura non lineare incardinata cronologicamente al giorno della vigilia di Capodanno. I personaggi che agiscono in questo giorno così ricco di significati sono vari e molto diversi tra loro. Troviamo un regista ed un mafioso, un operatore e la star di un film, un piccolo spacciatore ed un criminale che vuole ottenere un visto per visitare il padre malato in Tailandia. Le loro vicende sono scandite da piccoli momenti salienti delle 24 ore dell'ultimo giorno dell'anno, così carico di promesse e di delusioni. Ma il vero protagonista, tautologicamente, è proprio il cinema. Il titolo Do Over si riferisce proprio alla possibilità di cancellare le scene venute male per crearne di nuove, magari a lieto fine. In questo caso però il cinema non si limita a riprodurre la realtà, lasciandosi plasmare dalle sue contingenze, ma anzi come uno specchio magico ricostruisce a sua volta la realtà, arrestando il tempo, modificandolo e rendendolo duttile ai più segreti desideri dell'uomo. Tra vicenda di finzione e peripezie per la realizzazione di un film si instaura un sottile gioco di riflessi ed ombre, cinesi per l'appunto.
L'opera prima di Yu-chieh Cheng visionaria e di partitura complessa, presenta una notevole commistione di generi cari al cinema d'Oriente, proponendo dunque la storia d'amore, la vicenda criminale passando per il fantastico e la ghost story. A questi si aggiungono brevi discussioni filosofiche sulla natura del tempo, del passato e del futuro che possono benissimo riferirsi all'inquietudine che anima l'impaziente gioventù taiwanese. Una delle scene più emblematiche a tale proposito vede alcuni dei protagonisti sul limite di una superstrada in costruzione sospesa sul vuoto, simbolo di infinite possibilità ma anche di ansia di fronte all'incerto. Incertezza che solo il cinema può superare non solo con il proprio potere evocativo, ma con la propria ambizione ad agire sul mondo che cerca di descrivere.
La frase: "Non esiste né passato né futuro. Ovunque mi trovi sono sempre nel presente".
Mauro Corso
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