Fiore del deserto
La regista e sceneggiatrice di origine tedesco-americana Sherry Hormann ha colpito molto positivamente il pubblico di Venezia ricevendo quasi cinque minuti di applausi ininterrotti per la sua nuova pellicola "Desert Flower". Il film è stato presentato nella sezione dedicata agli autori della 66 edizione della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica ed è ispirato alla vita della top model Waris Dirie e al dramma dell’infibulazione. Dopo aver letto il romanzo autobiografico intitolato "Desert Flower" la cineasta ne è rimasta profondamente colpita e turbata tanto da desiderare di realizzare un film su questo tema così importante e attuale. La prima tappa obbligata è stata dunque quella di incontrare Waris Dirie che ha accettato di buon grado l’idea di Hormann, ma ha posto delle condizioni: la prima era di mostrare una scena in cui una bambina veniva mutilata e infibulata, la seconda era di mettere un po' di umorismo, così che il film diventasse un inno alla gioia di vivere e non un documentario sulla sofferenza. Il film racconta la storia di Waris Dirie, una bambina di origine somala nata da una famiglia nomade, il clan Gaalkacyo, tanto che la sua nascita non risulta essere stata registrata in nessun villaggio. Quando, all’età di 13 anni, viene promessa in sposa come quarta moglie di un uomo di settanta anni, decide di scappare e attraversare da sola il deserto alla volta di Mogadiscio. Senza cibo né acqua, con dei semplici sandali infradito cammina sotto al sole cocente del deserto arrivando dalla nonna materna che per nasconderla la spedisce a lavorare come cameriera presso una zia a Londra. L’inizio della guerra civile in Somalia spinge la giovane ragazza a scappare dall’ambasciata e perdersi per le strade di Londra senza conoscere una parola di inglese. L’amicizia con una giovane donna che lavora come commessa in un negozio, che cerca di diventare ballerina, l’aiuterà a prendere coscienza di sé e della sua situazione, del dramma che ha vissuto, a prendere finalmente in mano la sua vita e a cercare di cambiarla.
Eccola lavorare in un fast food e posare per il popolare fotografo di moda inglese Terry Donaldson (Spall). Ben presto il suo mondo cambia, ma il dramma resta, il ricordo orribile del "giorno che le ha cambiato la vita", di quando a tre anni è stata mutilata. Attraverso flash back la giovane protagonista, interpretata dalla modella-attrice etiope Liya Kebede, lo spettatore scopre la storia di questa bellissima e dolce ragazza, vivendo con lei la traversata del deserto e l’orrore della mutilazione. E’ un tema importante e soprattutto attuale, che coinvolge tutto il continente africano dove in molti stati è ancora praticato e lentamente, grazie ai flussi migratori, si sta diffondendo anche nei paesi più occidentalizzati dall’Europa all’America. Un atto legalizzato dalla tradizione che da anni la top model Waris Dirie combatte con tutte le sue forze pubblicando oltretutto diversi libri tanto da essere stata nominata da Kofi Annan ambasciatrice Onu per le mutilazioni genitali femminili. Come spiegano i titoli di coda, secondo i dati dell’ONU circa 6 mila bambine ogni giorno subiscono l’infibulazione e poche sopravvivono, perchè o muoiono dissanguate o a causa di infezioni. "Desert Flower" è costituito da una partitura perfettamente equilibrata con un alternarsi di momenti drammatici e allegri, ricordando i toni della commedia americana. E’ proprio questo alternarsi armonioso dei due elementi portanti e caratterizzanti che rendono la pellicola piacevole e capace di parlare al cuore dello spettatore, di spingerlo a pensare, di commuoverlo senza però tormentarlo. La violenza è presente nel film, ma vi è sempre rispetto e delicatezza nel descriverla ed è proprio questa gentilezza che riesce a far breccia nel cuore del pubblico. "Desert Flower" è a metà fra dramma e commedia, capace di sedurre il pubblico.

La frase: "L’ultimo cammello della carovana è forte quanto il primo".

Federica Di Bartolo

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