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Dellamorte Dellamore
Alla notizia che Rupert Everett ("Gli occhiali d’oro") avrebbe interpretato un lungometraggio cinematografico tratto da un romanzo di Tiziano Sclavi, creatore del detective dell’incubo Dylan dog ispirato proprio alla fisionomia dell’attore inglese e protagonista dell’omonima serie a fumetti edita dalla Sergio Bonelli Editore, non pochi furono, all’inizio degli Anni Novanta, i cuori in fibrillazione di fan dell’horror e delle vignette inchiostrate.
Ma, dopo il progetto annunciato e poi abortito di una serie di telefilm che avrebbero dovuto portare la firma di Alberto Negrin, neppure questa volta si è potuto godere della trasposizione cinematografica delle imprese dell’astemio investigatore sciupafemmine di Londra.
In "Dellamorte Dellamore", infatti, diretto da Michele Soavi prima di dare il suo fondamentale contributo allo scialbo panorama delle fiction televisive ma dopo essersi già guadagnato il titolo di master of horror all’italiana con "Deliria" (1987), "La chiesa" (1989) e "La setta" (1991), Everett interpreta semplicemente Francesco Dellamorte, la cui madre faceva di cognome Dellamore, custode del cimitero di Buffalora che, supportato dall’aiutante Gnaghi, magnificamente incarnato dal francese François Hadji-Lazaro ("Quarto comandamento"), si trova continuamente impegnato a spaccare le teste di alcuni cadaveri, i quali, in maniera misteriosa, tornano in vita più aggressivi che mai entro sette giorni dal decesso.
E la vicenda prosegue con l’entrata in scena di una sexy vedova con le fattezze di una Anna Falchi ("Nel continente nero") fresca di chirurgia estetica, della quale il protagonista s’invaghisce per poi trovarsi ad avere a che fare con sue misteriose sosia, mentre, tra spargimenti di liquido rosso e qualche memorabile trovata (si pensi al centauro zombi), quella che si respira è pura aria di horror comedy.
Horror comedy a tinte romantiche decisamente fiacca, però, tale è la sua incapacità di riuscire a sviluppare in maniera convincente il basilare binomio amore-morte, nonostante la grande professionalità del cast tecnico, all’interno di cui troviamo, tra gli altri, lo scenografo Massimo Massimo Antonello Geleng ("Paura nella città dei morti viventi") e l’effettista Sergio Stivaletti ("Dèmoni").
Quindi, decisamente meglio il ritorno al grande schermo per Soavi, dodici anni dopo, con il tanto riuscito quanto sottovalutato "Arrivederci amore, ciao" (2006).
La frase: "Ognuno di noi fa quello che può per non pensare alla vita".
Francesco Lomuscio
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