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Day of the Dead
Bisogna ammetterlo, pur rientrando tra i migliori living dead movie della storia del cinema, "Il giorno degli zombi" (1985) rimane sicuramente il tassello meno riuscito della filmografia zombesca di Sua Maestà George A. Romero, talmente concentrato sul messaggio anti-dittatura che, nonostante la massiccia presenza di effetti splatter, i dialoghi finiscono quasi per occultarne il lato horror.
Ora, dopo aver diretto in coppia con Ana Clavell il pessimo "Day of the dead 2: Contagium" (2005), James Glenn Dudelson, incredibilmente appropriatosi dei diritti di diverse opere del maestro newyorkese, figura tra i produttori di quello che, almeno sulla carta, dovrebbe essere il remake del terzo capitolo della saga romeriana.
Sulla carta, appunto, perché, a partire dall’incipit, si prova l’impressione di trovarsi principalmente dinanzi a un prequel, con misteriosa epidemia zombificante che, in una cittadina del Colorado, è solo all’inizio della sua diffusione; tanto che perfino lo scenario apocalittico non appare accentuato come lo era nell’originale, quasi interamente ambientato in un claustrofobico bunker sotterraneo che qui viene sfruttato soltanto verso l’epilogo, accantonato in favore di esterni notturni valorizzati dai toni dark della non disprezzabile fotografia di Patrick Cady ("La costa del sole").
Poi, complice probabilmente il fatto che il genere horror identifichi ormai il suo maggiore flusso di fruitori nel pubblico dei teen-ager, il regista Steve "Venerdì 13 parte 2 e 3" Miner, su sceneggiatura di Jeffrey Reddick ("Final destination"), sostituisce il manipolo di macho-men del capostipite con uno stuolo di scialbi ragazzotti, tra cui una tutt’altro che convincente Mena Suvari ("American beauty") nei panni della soldatessa combattiva Sarah.
E, in generale, con infetti il cui look si pone a metà strada tra i posseduti de "La casa" (1981) e gli pseudo-morti viventi di "Dèmoni" (1985), il nuovo "Day of the dead", che non manca di evidenti rimandi a "Resident evilv (2002), ancor prima che alla pellicola da cui prende le mosse sembra riallacciarsi a "28 settimane dopo" (2007) e "L’alba dei morti viventi" (2004), dal quale, non a caso, recupera sia gli zombi veloci e scattanti – qui dotati perfino di invidiabili capacità atletiche – che Ving Rhames ("Pulp fiction"), per impiegarlo in un ruolo secondario.
Ciò che ne viene fuori, al di là dei difetti individuabili soprattutto nei non proprio eccelsi effetti speciali in computer grafica, sono circa 85 godibili minuti di action splatter caratterizzati da un ritmo serrato, per mezzo dei quali, tra l’altro, veniamo a conoscenza di living dead capaci di attaccare perfino i loro simili, quando non conformi al comportamento di fagocita-umani.
Per un elaborato che non rientra sicuramente tra i peggiori lavori dell’ultimo Miner (quello di "Halloween-20 anni dopo" e "Lake placid", per intenderci), a patto, comunque, che non lo consideriate un rifacimento del film di Romero, anche perché sembra capovolgerne del tutto il significato anti-militarista.
Del resto, siamo nell’America (e mondo) post-11 settembre.
La frase: "L’infezione si sta muovendo molto lentamente, però la sento".
Francesco Lomuscio
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