Da quando Otar è partito
È più forte chi ha la pazienza e la perseveranza di aspettare o chi ha il coraggio di partire? La nonna Eka, la mamma Marina e la figlia Ada, vivono a Tblissi, in Georgia in un vecchio appartamento, dove spesso mancano la luce e l'acqua. I sogni e le speranze di ognuna cozzano sempre più spesso con la dura realtà quotidiana e si ravvivano solo quando Otar, l'adorato figlio di Eka, manda notizie e qualche soldo dalla Francia, dove è emigrato in cerca di fortuna. Un giorno però le notizie che giungono da Parigi sono infauste: Otar è morto in un incidente. Per non dare un dispiacere all'anziana Eka, Marina e Ada fanno di tutto per nascondere la tragedia. A partire da questo momento, però, le loro vite subiranno una radicale trasformazione che giungerà a compimento quando Eka scoprirà la verità.
Nato in seguito ad una collaborazione che la Bertuccelli (nota documentarista) ha avuto con Otar Iosseliani, il film ci propone un paese attraente e ricco di contraddizioni, un paese la cui storia è stata spesso dolorosa e di cui i cittadini ne risentono ancora oggi. La precarietà del quotidiano si riscontra in molte scene. Un senso di oppressione e di claustrofobia si ha soprattutto quando si ritraggono le tre donne in casa, con l'acqua e la luce che vanno e vengono e questa figura assente ma ingombrante di Otar, cui tutto è riferito. Eka Marina e Ada sono tre donne caparbie ma estremamente affettuose, ognuna a suo modo cerca di risparmiare all'altra dolori e sofferenze, si curano a vicenda, si coccolano, si vogliono bene. Il loro è un micro cosmo autosufficiente, in cui gli uomini come entità fisiche entrano appena. Essi sono relegati in quel particolare luogo che è la memoria, dove sono signori e padroni. Vengono idealizzati, criticati, a loro si rivolgono imprecazioni, suppliche, ma essi sono sempre al di fuori dalla vita reale, quasi come le antiche divinità pagane. Otar è il fulcro di ogni discorso, eppure non si vede mai, se non in una fotografia. La sua è una presenza costante, anche se non fisica e paradossalmente diventa più tangibile proprio quando arriva la notizia della sua morte.
Ricco di disperazione ma anche di speranza, contraddittorio eppure a suo modo coerente, questo lungometraggio ha assicurato alla regista numerosi premi a partire dal Gran Premio della Settimana Internazionale della Critica di Cannes fino al Premio Margherite Duras, senza dimenticare il premio Michel D'Ornano, assegnatole al Festival du Cinema Americani di Deauville.

Teresa Lavanga

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