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Anarchy





Michael Almereyda ha presentato a Venezia, in Concorso nella sezione Orizzonti, una rivisitazione del “Cimbelino” di Shakespeare, mantenendosi fedelissimo al testo e ambientandolo nei sobborghi di una metropoli contemporanea.
L’amore della principessa inglese per l’erede al trono di Roma è ostacolato dal padre, che aveva già pianificato il suo matrimonio secondo piani politici a lui congeniali.
Il film procede tramite scelte imbarazzanti e al limite del ridicolo, a tal punto che è arduo capire da dove cominciare a parlarne.
Iniziamo dalla scelta dell’ambientazione contemporanea. Due anni fa Joss Whedon (il regista di “The Avengers”) ha realizzato una versione cinematografica di “Molto rumore per nulla”, in cui i personaggi, medio-borghesi dell’America di oggi, recitavano le stesse parole scritte da Shakespeare alla fine del Cinquecento; una decisione che all’interno del film riusciva ad inserirsi più che bene, conferendo un tono teatrale e ironico a una vicenda raccontata con il massimo della naturalezza. In “Cymbeline”, al contrario, questa scelta stona con tutto il tono del film, non è assolutamente necessaria a una resa potente del testo e non è un’esigenza che parte dalla tragicommedia shakesperiana; anzi, è una decisione presa a tavolino e a priori, alla ricerca di uno sterile effetto di contrasto, supportato da una regia che da una parte si appesantisce nella vana ricerca di una solenne teatralità e dall’altra si concentra troppo nel sottolineare la modernità della rivisitazione, tra infinite quantità di iPhone, iPad e Mac, selfie, ribelli che ascoltano reggae indossando magliette di Che Guevara e molto altro: impossibile evitare di sfociare nel ridicolo più assoluto.
Almereyda ha fatto la peggiore delle scelte, credendo di essere in grado di dirigere un film che puntasse tutto sullo stile potendosi permettere di lasciare in secondo piano lo sviluppo narrativo, perché non ne è assolutamente in grado. “Cymbeline” si trascina in tutta la sua durata solo alla ricerca di trovate ed effetti sterili e gratuiti. Monologhi resi tramite canzoni, mostrare una pistola dopo aver parlato di spade: niente di tutto ciò è minimamente curioso o stimolante.
Il regista è riuscito addirittura a far recitare male un cast eccezionale che, esclusi i due pessimi protagonisti, vanta nomi del calibro di Ethan Hawke, Ed Harris e Milla Jovovich: un’impresa che si direbbe impossibile.
Accolto a Venezia con una pioggia di fischi da parte del pubblico.

La frase:
"Anche se lei è un angelo del Paradiso, l’Inferno è qui".

a cura di Luca Renucci

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