Complici del silenzio
Delle 30mila vittime della dittatura militare argentina (1976-‘83), almeno un migliaio sono di origine italiana, e dopo diversi anni il nostro paese ha portato a giudizio – condannandoli - i responsabili di alcuni casi. Guarda a questa realtà "Complici del silenzio", titolo che si riferisce a quanti – ignorando cosa succede loro accanto - permettono una completa agibilità ai carnefici.

Autore di cortometraggi e documentari (su Francesco Rosi e Marco Bellocchio), David di Donatello come miglior regista esordiente, Stefano Incerti muove da un soggetto di Rocco Oppedisano (da più di 30 anni giornalista nel paese sudamericano) sceneggiato poi insieme a lui. Nel lanciare il suo atto d’accusa - allargato ad una società che per la quasi totalità non poteva non sapere - il cineasta mostra subito ad inizio film quanto la situazione appaia chiara agli stranieri già dall’arrivo in aeroporto, dove la stampa internazionale viene accolta da un "corridoio" di soldati schierati su due file da cui si levano voci tipo: "Scriva bene sul nostro paese. Scriva la verità". Ma la verità va al di là delle attrattive da "distrazione di massa" del tango o soprattutto del calcio (in una scena, il contrasto tra i festeggiamenti per la vittoria della nazionale di Maradona e le lacrime degli scampati alla detenzione).
Ed è che il controllo sociale si manifesta capillare e soffocante in ogni settore della vita pubblica: dal divieto anche per le canzoni di Ornella Vanoni fino a pedinamenti, posti di blocco, truppe di stanza all’Università (con la chiusura dell’"inutile" facoltà di Lettere, ricettacolo di "comunisti e froci"), perquisizioni, rastrellamenti o sparizioni che non risparmiano nemmeno la Chiesa di base. Attraverso una romanzesca storia d’amore e più di una presa di coscienza, Incerti sottolinea quanto chiunque potesse finir male sotto quel regime (che agli arrestati riservava pestaggi, torture, stupri, eliminazioni), rende omaggio alle Madri di Plaza de Mayo e al monumento ai "desaparecidos", porta l’uomo qualunque ad un disperato scatto d’orgoglio.

La frase: "Qui, quando la verità viene fuori guarda caso gronda sangue".

Federico Raponi

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