Civico 0
Una città, Roma, con 10 mila abitanti al "civico 0". Cioè senza fissa dimora, presso sistemazioni provvisorie quali Caritas, baracche, case occupate o peggio nei ripari di fortuna di automobili abbandonate, panchine, giardini pubblici. Un’umanità in lotta per la sopravvivenza: romani che hanno smarrito sé stessi e le coordinate, migranti privi di permesso di soggiorno che un lavoro possono ottenerlo solo al nero e in clandestinità, prostitute, artisti di strada, lavavetri, giù fino a chi si affida all’elemosina o al frugare nei cassonetti come pure tra le cassette dei mercati dopo la chiusura. Sporchi e laceri, sofferenti, depressi, impazziti che parlano da soli.

E’ la straziata panoramica del film documentario di Citto Maselli, liberamente ispirato al libro "il nome del barbone" di Federico Bonadonna. Il cineasta ha una formazione politico-artistica documentaria sviluppatasi lungo tutta la carriera (con, al centro, una pausa ventennale) e sfociata nella fondazione "cinema nel presente".
"Civico 0" è la prosecuzione di quello che Maselli aveva già definito "realismo lirico", di denuncia sociale per mezzo di immagini vere, drammatiche e il tocco dell’autore che interviene nell’inquadratura, nel montaggio e nel commento musicale (la pìetas delle note di Angelo Talocci si inframezza al suono in presa diretta). Rispetto però a "la storia di Caterina" – suo primo episodio-film – l’approccio è opposto.
Quell’esigenza di verità e di presa di coscienza della protagonista lascia il posto alle tre voci narranti fuori campo dei personaggi reali, estratti da interviste a un centinaio di persone. Loro si raccontano e gli attori li interpretano immessi negli stessi luoghi delle vicende secondo un intento di far cinema che vuole essere altro dall’inchiesta TV. Il regista dimostra forza poetica sia nei frammenti di disperazione catturata mentre vicino – a evidenziare l’emarginazione - scorre, rumoroso, il traffico, che nelle parti di finzione, con il ritratto di Massimo Ranieri sul sedile di un bus, addormentato con la testa all’indietro, a bocca aperta, come un Cristo deposto dalla croce.

La frase: "Giravo per una città che non riconoscevo".

Federico Raponi

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