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5 (Cinque)











Come in "Sleepers" (1996) di Barry Levinson, è all’interno di un riformatorio da adolescenti, dove sono stati rinchiusi per piccoli reati, che si conoscono i cinque ragazzi protagonisti del lungometraggio diretto da Francesco Maria Dominedò, a quanto pare ispirato ad una storia vera.
Quindi, tenendo conto anche del fatto che il regista sia stato tra gli interpreti di "Fatti della banda della Magliana" (2005) di Daniele Costantini, non è difficile pensare di trovarci dinanzi all’ennesimo derivato di "Romanzo criminale" (2005), tanto più che i cinque "stradaroli" di cui sopra, muovendosi tra "il Quarticciolo" e Roma est, portano a termine una grossa rapina, improvvisandosi professionisti e ritrovandosi catapultati in un mondo fatto di guadagni facili, donne e bella vita.
Un mondo che, molto presto, si rivela ben più agguerrito, malvagio e spietato di loro, mentre, accanto ai funzionali ma non sempre convincenti protagonisti, tra cui lo Stefano Sammarco che firma anche il soggetto, sfilano i volti noti di Francesco Venditti, Giada De Blanck, il cesaroniano Matteo Branciamore, la Giorgia Würth di "Maschi contro femmine" (2010) e il Massimo Bonetti non nuovo a questo tipo di vicende, se teniamo in considerazione che il suo curriculum spazia da "Il trucido e lo sbirro" (1976) di Umberto Lenzi a "Roma nuda" (2011) di Giuseppe Ferrara.
E Dominedò, che, senza rinunciare ad omaggi al Quentin Tarantino del noir, immerge il tutto nell’abbondanza di contrasti sfoggiati dalla non disprezzabile fotografia di Michele D’Attanasio e non dimentica un’indispensabile spruzzata d’ironia, sfrutta spesso una camera di ripresa in veloce movimento, nel probabile tentativo di camuffare la pochezza di mezzi e, soprattutto, la povertà scenografica.
Uno stratagemma tecnico che, pur finendo a lungo andare per rendere stancante la visione, testimonia una certa impronta personale del regista, il quale, però, si trova in particolar modo a dover fare i conti con una sceneggiatura – a firma dello stesso insieme a Riccardo Papa e walter D’Errico – costruita su pochissimi eventi capaci di coinvolgere lo spettatore dall’inizio alla fine dei 99 minuti totali.

La frase:
"Nun se po’ più vive fori, ma nun te fanno sta tranquillo manco dentro".

a cura di Francesco Lomuscio

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