La guerra di Charlie Wilson
Se avevate apprezzato, trovandoli però troppo seriori e soprattutto densi di informazioni per essere capiti in toto, film come Traffic o Syriana, ecco finalmente una pellicola che ha capito come coniugare la narrazione di articolate e vere storie di poteri nascosti con il ritmo e l’intelligenza della commedia. “La guerra di Charlie Wilson” è infatti tutto questo e di più. E’ grande informazione politica attuale e allo stesso tempo gustoso entertainment alla portata di tutti. Un lavoro che racconta la Storia di oggi, e cioè dell’11 Settembre, l’Afghanistan e l’Iraq, parlando di quella di ieri. Un film che riassume il modus operandi degli Stati Uniti durante la guerra fredda, del suo continuo voler battere l’URSS senza una guerra diretta, ma attraverso tante piccole guerriglie locali dove in cambio di armi e soldi si sacrificavano vite umane mandate allo sbaraglio.
Se pensate all’ennesimo film antinazionalista però vi sbagliate. Come spesso succede ultimamente nel cinema stelle e strisce (vedasi Leoni per agnelli), all’opportunismo della politica è contrapposta l’umanità e il sincero patriottismo dei singoli. Charlie Wilson non è infatti il deputato corrotto, ma l’uomo americano che porta in alto i valori della propria bandiera attraverso generosità e intraprendenza, nonostante poi nel privato faccia un pò come gli pare. Un personaggio bohemien ritratto alla grandissima da un Tom Hanks che si ritrova accanto un non meno bravo Philip Seymour Hoffman nei panni dell’agente segreto dai modi di strada. I loro scambi di battute sono da antologia dei dialoghi, veri e propri compendi di umorismo e sintesi che potrebbero essere studiati per anni al cinema o in teatro. Mike Nichols infatti prende il meglio delle tecniche del palcoscenico (di cui è maestro così come del cinema) per donare quel ritmo aggressivo e incessante che fa passare la poco più di ora e mezza tutta d’un fiato: gli attori entrano ed escono dalla scena in un lampo (nel primo incontro tra Hanks e Hoffman le ninfette vengono chiamate e richiamate all’occorrenza come se fossero nascoste dietro le quinte), le svolte narrative sono riassunte nei dialoghi (Julia Roberts che ottiene i finanziamenti giocando sulla persuasione delle parole) e gli spostamenti da una parte all’altra del mondo sono cambi di scena (l’unico vero esterno è il campo rifugiati per profughi).
La malinconia della situazione vive continuamente contrapposta all’umorismo delle microsequenze senza però lasciare che qualcuno dei tanti lacci lanciati a proposito del passato non riecheggi ancora forte una volta usciti dalla sala (il citato omicidio di Zulfiqar Bhutto diventa ancor più drammatico se unito a quello recente della figlia). La splendida sceneggiatura di Aaron Sorkin (tratta dall’omonimo libro di Gorge Crile) sollecita e pretende impegno da parte dello spettatore: il finale non è quello di Charlie Wilson, ma quello che oggi vediamo, sempre che se ne abbia voglia, attraverso i tanti (comunque mai abbastanza) mezzi di informazione.

La frase: "Queste cose accadono. Siamo stati gloriosi e cambiato il mondo…e poi abbiamo mandato a farsi sfottere il finale".

Andrea D’Addio

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