Burma VJ: Reporting from a Closed Country
“Questo film è costituito in gran parte da immagini girate da giornalisti che lavorano nella clandestinità. Per motivi di sicurezza alcuni nomi sono stati modificati e certe sequenze ricostruite”.
Raccontato dalla voce narrante di un reporter che ricorre al nome fittizio di Joshua (doppiato nell’edizione italiana da Alessandro D’Errico) ed accompagnato da una colonna sonora che ne accentua i toni tragici, apre con questa didascalia il documentario a firma di Anders Østergaard, candidato al premio Oscar nel 2010 e volto a testimoniare che la Birmania, dove le autorità locali non permettono alle persone di accedere, è un paese ancora esistente.
Si tratta infatti dell’assemblaggio di materiale filmato riguardante la “rivoluzione zafferano” birmana del settembre 2007, girato tramite videocamere e telefoni cellulari da alcuni gruppi di videoreporter clandestini di Democratic Voice of Burma e finito nelle mani dell’autore danese che, complici i suoi montatori, ne ha ricavato uno dei più forti e importanti documentari di denuncia sui diritti umani d’inizio XXI secolo.
Un documentario che parte dalle manifestazioni studentesche del 1988 per poi concentrarsi sulla recente protesta dei monaci buddisti contro il regime militare che, ispirata dalla dissidente e premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ha finito per trasformarsi, attraverso i filmati girati dagli attivisti, nell’unica voce d’informazione riguardo ad eventi negati ai giornalisti di tutto il globo terrestre.
Quindi, mentre l’occhio elettronico degli obiettivi di ripresa sguazza tra soldati, monaci, studenti, lotte per la democrazia e veri e propri atti di violenza, è soprattutto il connubio tra la già citata voce narrante ed il veloce montaggio a giovare all’insieme di “storie silenziose” che l’operazione si appresta a radunare negli 83 minuti circa di visione, di cui il regista osserva: “Dopo decenni di oblio, la Birmania è stata riscoperta dal mondo. E in gran parte lo dobbiamo a un pugno di cittadini birmani che hanno colto l’attimo e messo in funzione le loro videocamere con ingenuità e immenso coraggio. Essere testimoni della loro altruistica lotta rende umili e mette la voglia di far sapere di loro a tutto il mondo. E’ proprio questo che ho tentato di fare”.
La frase: "Io volevo e voglio lottare per la democrazia".
Francesco Lomuscio
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