I love Radio rock
E’ "All day and all of the night" dei Kinks a commentare i titoli di testa della seconda fatica registica dello sceneggiatore Richard Curtis, a sei anni dall’esordio dietro la macchina da presa avvenuto con la commedia romantica "Love actually-L’amore davvero".
Soltanto il primo di una lunga serie di evergreen in note che, tra Them, Turtles, Box tops e Troggs, provvedono ad accompagnare l’esistenza dell’eclettico equipaggio di Radio Rock, radio pirata di Quentin (Bill Nighy), padrino del giovane Carl (Tom Sturridge), la quale, in una lodevolmente ricostruita Gran Bretagna del 1966, trasmette da una barca nel bel mezzo del Mare del Nord.
Equipaggio che vede il suo capo nell’americano grosso e sfacciato detto "Il Conte" (Phillip Seymour Hoffman), spalleggiato dall’ironico e intelligente Dave (Nick Frost), dal gentile Simon (Chris O’Dowd), in cerca del vero amore, dall’enigmatico e attraente Mark (Tom Wisdom), dal dj Wee Small Hours Bob (Ralph Brown), da On The Hour John (Will Adamsdale), che legge le notizie, dal fastidioso Angus "The Nut" Nutsford (Rhys Darby) e da Thick Kevin (Tom Brooke).
Equipaggio di cui rientra a fare parte anche Gavin (Rhys Ifans), tornato dal suo viaggio nella droga in America per riprendersi il suo legittimo posto di più grande disc jockey d’Inghilterra, mentre il Ministro Dormandy (Kenneth Branagh) medita di reprimere qualsiasi cosa abbia a che fare con l’esuberanza giovanile, compresa l’influenza dei pirati.
Perché, con un cast da premio Oscar in grandissima forma e traendo dichiaratamente ispirazione sia da "M.A.S.H." di Robert Altman che da "Animal house" di John Landis, è ai trasgressivi deejay delle mitiche stazioni radio illegali attive verso la fine degli Anni Sessanta che il regista rende omaggio.
Le mitiche stazioni radio che hanno fatto conoscere a un pubblico entusiasta artisti del calibro di Rolling Stones, Jimi Hendrix e Dusty Springfield ("In assoluto la miglior voce del soul bianco" dice uno dei protagonisti), testimoniando in che modo quella che, definita in maniera fastidiosamente perbenista "pornografia musicale", era (ed è) in realtà una forma culturale d’intrattenimento capace di accomunare e tenere uniti agglomerati di terrestri appartenenti a differenti razze e ceti sociali; ad esclusione, probabilmente, di coloro che risiedono (e risiedevano) nei freddi ed anti-emozionali corridoi del potere, al cui interno non sembra esservi spazio per i sogni ad occhi aperti.
Sogni che nel film di Curtis hanno la voce, tra l’altro, di "For your love" degli Yardbirds, di "Crimson and clover" di Tommy James and The Shondells e perfino della meno nota "Friday on my mind" degli Easybeats, quando non assumono i toni più malinconici di "A whiter shade of pale" dei Procol Harum o quelli natalizi di "Little Saint Nick" dei Beach Boys e della spectoriana "Christmas (Baby please come home)" di Darlene Love.
Soltanto alcuni dei titoli che vanno a compilare una splendida e nutritissima colonna sonora abilmente sfruttata in mezzo all’abbondanza di esplosivi dialoghi non privi d’ironia, mentre le riprese di una macchina raramente ferma vengono assemblate dall’ottimo montaggio di Emma E. Hickox.
Per quello che, evocando poesia solo quando necessaria, presenta già le fattezze di un cult... se non di un classico.

La frase: "Se Dio fosse un dj, sarebbe alla console di Radio rock".

Francesco Lomuscio

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