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Blade Runner
Rivedere nel 2007 "Blade runner", riconosciuto capolavoro della fantacelluloide firmato da Ridley Scott tre anni dopo "Alien" (1979) e tratto da "Ma gli androidi sognano pecore elettroniche?" di Philip K. Dick, sembra utile principalmente per ricordare quali alte vette cinematografiche toccavano un tempo volti noti dello spettacolo come Rutger Hauer ("I falchi della notte") o Sean Young ("Ace Ventura-L'acchiappanimali"), ormai spesso rilegati a fare da guest star in produzioni di basso livello.
Accompagnati dalla mitica colonna sonora firmata da Vangelis, ci ritroviamo quindi a Los Angeles, nel novembre del 2019, dove l'ex poliziotto Rick Deckard, interpretato da Harrison Ford ("I predatori dell'arca perduta"), torna in servizio per la squadra speciale Blade runner al fine di dare la caccia a quattro pericolosi Replicanti: prodotti robotici uguali agli esseri umani, ma più forti ed agili, che, usati come schiavi nelle colonie extra-mondo, sono fuggiti sulla Terra, dove la loro presenza è stata dichiarata illegale.
E lasciano quasi pensare ad una variante fantascientifica degli antichi zombi appartenenti alla tradizione caraibica questi automi che imperversano in una piovosa ed ultramoderna Città degli angeli, tra automezzi volanti e costruzioni luccicanti, immersi nei cupi toni freddi della bella fotografia del compianto Jordan Cronenweth ("Stati di allucinazione"), sicuramente debitrice nei confronti del precedente "1997: Fuga da New York" (1981) di John Carpenter.
Ma, ancor più del maxicult firmato dall'autore di "Halloween-La notte delle streghe" (1078), "Blade runner" ha il merito di aver influenzato il look di quasi tutti i fanta-movie prodotti in seguito alla sua uscita, costruito su una vicenda che, attingendo in maniera evidente dai vecchi noir, lascia emergere una certa dose di malinconica solitudine da ogni personaggio presente in scena, mentre finisce per trasformarsi progressivamente in un incubo ultratecnologico non privo di splatter.
In fin dei conti, però, che si tratti di final cut o di qualsiasi altra versione, è facile intuire che sia unicamente nel curatissimo lato estetico, forte anche del grande lavoro scenografico svolto da Lawrence G. Paull ("Fuga da Los Angeles") e Peter J. Hampton ("Torque-Circuiti di fuoco"), che il film di Scott racchiuda tutto il suo fascino; per il resto, infatti, tra ritmi di narrazione tutt'altro che incalzanti ed un connubio regia-script di taglio poco più che teatrale, l'impressione generale è quella di trovarsi dinanzi ad un'opera su pellicola forse un po' troppo sopravvalutata.
Come chi l'ha firmata, del resto.
La frase: "Ho visto cose che voi uomini non credereste".
Francesco Lomuscio
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