Aprimi il cuore
Opera prima della regista Giada Colagrande, "Aprimi il cuore" narra la storia di due sorelle, Maria e Caterina (interpretate rispettivamente da Natalie Cristiani e dalla stessa regista) che intrattengono tra loro un rapporto decisamente morboso. Maria, la sorella più grande, è una prostituta ma allo stesso tempo è anche madre, sorella, amante, maestra di Caterina: praticamente è l'intero suo mondo. Tutto continua "tranquillamente" finché non entra in scena il guardiano della scuola di ballo di Caterina (interpretato da Claudio Botosso), e da allora si ha un'interruzione dell'equilibrio malato che regola la vita delle due sorelle.
Si può dire che siamo davanti ad un film alquanto acerbo (caratteristica naturale di molte opere prime), per quanto la storia sia abbastanza originale. L'intenzione dell'autrice è creare un senso di oppressione, raccontandoci una vita nascosta, senza chiaroscuri, dove tutto è cupo. Due vite, meccanicamente trascinate in rapporti sfalsati, o comunque non convenzionali. C'è tanta materia per un racconto affascinante.
Purtroppo c'è un alone di intellettualismo forzato che rovina un po' il lavoro. La Colagrande viene da esperienze nell'ambito dell'arte contemporanea (i suoi primi video sono interventi di artisti), il che non è un difetto. Ma la perdita del centro che è sintomatica dell'arte del Novecento qui non è ben sviluppata. Tutti i personaggi del film, sembrano automi, descritti senza una profondità minima. La ricerca dell'amore, la non-libertà, l'essere chiusi fuori (che qui è il dentro della casa dove le due sorelle vivono) fanno parte del racconto ma potrebbero anche non farne parte, talmente sono abbozzate. Per dirla meglio, è come se le due sorelle siano completamente inconsapevoli dell'angosciante disagio che avvolge la loro storia; e se la giustificazione a questa inconsapevolezza è la follia, anche questa è poco costruita e improvvisa(ta).
L'intellettualismo si sente anche nella rappresentazione delle Madonne dipinte che ogni tanto appaiono quasi come allegoria al nome della sorella più grande (Caravaggio che usava prostitute come modelle). Pasolini aveva usato Rosso Fiorentino ne "La ricotta" con risultati sicuramente più emozionanti.
Il tutto è condito dall'onnipresenza della Colagrande che in questo film è regista, soggettista, sceneggiatrice, attrice (ha 27 anni e interpreta una ragazza di 17), ballerina e tant'altro. Sicuramente ci sono le basi, perché la regista diventi una buona autrice (nel film ci sono buone idee), e sicuramente il mio giudizio è un po' viziato avendo visto una copia di lavorazione (in cui si perde molto la fotografia), ma sono sicuro del fatto che acquistando un po' più di passionalità, a discapito di un estetismo forte, il film sarebbe stato un'altra cosa. Sarà per la prossima volta.

Renato Massaccesi

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