Apri gli occhi e sogna

Un giovane pittore napoletano, Alessio Mirti (Rosario Errico - La piovra 5) arriva a Roma per cercare fortuna. Le cose non gli vanno un granché bene: dorme in un furgone, il gallerista a cui si rivolge ha sempre da fare, i soldi scarseggiano. Una sera però, a causa della denuncia di un barbone (Nino Manfredi), e per una combinazione di casi, ritrova una sua vecchia amica dei tempi dell'università, Joy (Gianna Coletti - La squadra) che gli offre ospitalità e tranquillità. A parte una stanza in cui dormire, però, di tranquillità neppure a parlarne. La sua amica è fissata per i programmi esoterici, e un giorno lo costringe a telefonare ad una trasmissione, convinta che la maga Melania (Jennifer Driver) gli saprà predire il futuro. Alessio si inventa una storia strappalacrime che fa decollare la trasmissione. Viene quindi rintracciato dal direttore della rete, un italo-americano, Alfredo (Nino Frassica - Miracolo italiano) ed ingaggiato insieme alla ex maga per un nuovo programma incentrato sulla sofferenza delle persone. Dopo un giro di inevitabili equivoci, tutto si risolve bene, ed Alessio non solo si sistemerà economicamente, ma troverà finalmente l'amore.
La pellicola è una immane accozzaglia di luoghi comuni, di frasi fatte, di superstizioni e di battute insulse. Neppure Frassica, notoriamente simpatico, riesce a risollevare il morale. Dopo pochi minuti dall'inizio, si ha una gran voglia di scappare, di uscire fuori a respirare aria fresca. A parte la trama, decisamente poco accattivante, sono orribili i costumi. Non si sa dove la costumista abbia trovato quei vestiti di colori imprecisabili, quei pantaloni di almeno due taglie più grandi del dovuto, quelle camicie simil-hawaiane che si portavano, non senza provocare lo strabuzzamento degli occhi, negli anni '80. Per non citare i cappellini, decisamente kitch portati dalla Coletti per tutta la durata del film: ce ne era uno a stelle e strisce davvero inguardabile. La presenza dello stilista Gay Mattiolo, che in un breve fotogramma interpreta, in modo abbastanza convincente se stesso, evidentemente non è servita a molto! I dialoghi sono banali, volti a cercare sempre la battuta, che purtroppo non arriva mai, se non come una freddura; il modo di gesticolare esageratamente accentuato; il rimando alle origini napoletane del regista, è continuo e poco pertinente. Speriamo che la prossima opera sovvenzionata dal Ministero per i Beni e le Attività culturali sia di maggiore spessore artistico.

Teresa Lavanga

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