American Dreamz
"La televisione ha provato che le persone prestano attenzione a qualunque cosa piuttosto che le une alle altre" disse la famosa giornalista statunitense Ann Landers. A molti sembrerà un'analisi prettamente legata alla società americana, ma quante volte nel vostro ambiente familiare vi è capitato di sedervi a tavola per cenare fissando lo sguardo sul piccolo schermo senza quasi rivolgere la parola a chi vi siede accanto, se non per commentare quanto appena visto?
Fenomeno occidentale quindi, così come l'attualizzazione di quell' "American dream" che un tempo pose le basi del successo statunitense nel mondo ("Anche se parti da condizioni misere, grazie al lavoro ed ad una buona gestione del denaro avrai la possibilità di riscattarti socialmente ed economicamente") e che adesso si è ridotto a rappresentare la fame di notorietà cui tanti signor nessuno aspirano grazie alla tipologia delle trasmissioni televisive di oggi (leggasi reality show).
Eliminazione della fatica, ed ecco allora la storpiatura in "American Dreamz". E' questo il titolo del programma di successo (una sorta di "Saranno Famosi") condotto da Martin Tweed (Hugh Grant) e che da il nome al film scritto, diretto e prodotto da Paul Weitz.
Una commedia satirica e grottesca, che prende in giro i mostri generati dalla televisione siano essi pubblico o attori (anzi è proprio nell'assottigliarsi di questa differenza uno dei problemi).
Tutto deve essere programmato e manipolabile dall'idolo televisivo al presidente, dal terrorista all'outsider. La tv come la vita reale: se non ti fai vedere non esisti. Per rappresentare tutte le sfaccetature di questa "logica dell'apparire" cui sono tutti sottomessi(compreso il Presidente degli Stati Uniti), Weitz opta per il film corale, facendoci seguire le vite parallele di quattro personaggi legati in vario modo alla trasmissione di Tweed. E seppur la prima parte risenta di questa scelta in termini di ritmo e umorismo (fermo alla costruzione delle diverse e paradossali metafore), a poco a poco che le storie si vanno ad intrecciare il film acquista una forza comica strabordante. Gli ultimi venti minuti sono un crescendo di irriverente comicità a metà tra le parodie della ZAZ (L'aereo più pazzo del mondo, Hot shots) e la cinica ironia di Robert Altman (M.A.S.H.).
I fratelli Weitz (Paul e Chris), che già avevano messo a nudo l'ipocrisia della benpensante America a proposito del sesso con il tanto sottovalutato quanto divertente "American Pie", le contraddizioni del mondo del lavoro nelle multinazionali senza identità in "In a good company" oltre ad aver lavorato al bel riadattamento del romanzo di Nick Hornby, "About a boy", si confermano con "American Dreamz" qualcosa di più di semplici promesse nel panorama cinematografico attuale.
Giova alla riuscita del film anche la scelta del cast (molti oltretutto avevano già lavorato con i Weitz), da Dannis Quaid nelle vesti del Presidente passando per l'irriconoscibile suo consigliere Willem Dafoe, fino a quell'Hugh Grant che nella parte del cinico opportunista ha trovato la sua dimensione d'attore (Quattro matrimoni ed un funerale, Il diario di Bridget Jones, About a boy).

La frase: "Se questa gente non ha idea di cosa sia il talento, non c'è molto che io possa fare, o no?"

Andrea D'Addio

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