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A luci spente
Durante la seconda guerra mondiale il periodo intercorrente tra l'autunno del 1943 e l'inverno del 1944 è stata senza dubbio la stagione più dura per la città di Roma. In questo "A luci spente" diretto da Maurizio Ponzi, si racconta la vicenda di una produzione cinematografica messa in piedi proprio in quel periodo. Il film è "Redenzione", una storia di ispirazione religiosa prodotta con il sostegno del Vaticano e girata in una chiesa romana.
Questo escamotage permette al regista Forti (Giulio Scarpati) di non andare a Venezia, luogo in cui si è trasferito tutto il cinema italiano conformemente ai dettami della Repubblica di Salò. Ma la parte più importante non è naturalmente il film Redenzione, quanto quello che accade per l'appunto a luci spente. Perché inevitabilmente gli eventi politici e bellici di quei mesi concitati irrompono violentemente sul set, con bombardamenti, rastrellamenti e l'attività cospirativa dei partigiani. Così agli avvenimenti di quel periodo si agganciano e si intrecciano le vicende di personaggi fittizi, come l'attrice Elena Monti (Giuliana De Sio), il vanitoso Primo Ratelli (Andrea Di Stefano) e tutti gli altri membri della troupe colpiti in maniera più o meno crudele dalla fase finale della seconda guerra mondiale. Personaggio particolarmente degno di nota è Ester (Ginevra Colonna), ragazza ebrea sfuggita miracolosamente alla liquidazione del ghetto di Roma, ma che ha perso l'intera famiglia in quei tragici giorni.
Benché le premesse siano promettenti e lodevoli ed il cast sia di indubbio interesse (è scontato parlare della bravura della De Sio), "A luci spente" sconta alcune pecche che compromettono in parte la buona riuscita del film. A parte i riferimenti sulla nascita del neorealismo, citazioni peraltro dichiaratamente didascaliche e dotate di un certo fascino, il film tende a scadere nella retorica concludendosi con un girato piuttosto tradizionale, specialmente nella seconda parte della pellicola. Inoltre la colonna sonora ha un ruolo troppo spesso dominante nel sottolineare determinate situazioni drammatiche, risultando così convenzionale ed opprimente nei confronti dal lato puramente visivo. Il messaggio politico che sta dietro al film è senza dubbio valido in ogni luogo ed in ogni epoca e si riassume nella frase "ci sono molti modi di resistere", indicando che anche svolgendo consapevolmente il proprio lavoro si può fare attività di opposizione politica nei confronti di qualunque regime. Una fase di "asciugatura" nei confronti di una sceneggiatura a volte troppo enfatica avrebbe sicuramente giovato al film e all'importante messaggio che vuole veicolare.
La frase: Un italiano che denuncia alle SS un altro italiano: questo non mi sembra molto patriottico!
Mauro Corso
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