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7 km da Gerusalemme
Uno dei brani del Vangelo di Luca più toccante e più rappresentato, ad esempio in pittura, è indubbiamente il passaggio della cena ad Emmaus. Due discepoli lungo la strada da Gerusalemme a Emmaus, che nella Bibbia è indicata come una località a sette miglia (e non sette km) dalla città Santa si imbattono in Cristo risorto. Non lo riconoscono e lo invitano a fermarsi con loro per la notte. Nel momento in cui l'ospite spezza il pane viene immediatamente riconosciuto, ma scompare.
Tratto dall'omonimo romanzo di Pino Farinotti, il film di Claudio Malaponti prende le mosse dal suddetto passaggio di fondamentale importanza per il mondo cristiano, ma attualizzandolo e collocandolo ai giorni nostri. Alessandro Forte è un pubblicitario che attraversa una profonda crisi interiore e sulla via di Emmaus si imbatte proprio in Gesù, che si offre di guidarlo e di prenderlo come nuovo discepolo, affidandogli una serie di missioni. Siccome la comunicazione è tutto al giorno d'oggi Gesù appare nella forma stabilizzata dalla tradizione, come un uomo barbato dai lineamenti delicati e vestito di tonaca, un tipo di rappresentazione che aveva una forte attrattiva nel mondo greco-giudaico proto-cristiano, perché coincideva con la figura del rabbino/filosofo.
La pellicola è di impianto molto tradizionale, e si svolge attraverso una serie di flashback che mostrano non solo l'evoluzione spirituale di Alessandro (interpretato da un bravo Luca Ward), ma anche le vacuità e le luci di speranza del nostro mondo contemporaneo. In pratica vengono mostrate una serie di parabole sulle principali virtù cristiane e sull'evoluzione del pensiero filosofico ad esso legato, anche tramite l'uso di nomi immediatamente riconoscibili ed evocativi. Per non rendere una narrazione di questo genere di sapore troppo antico vengono inseriti elementi di "postmoderno" e cioè di contaminazione in chiave ironica tra fede e realtà odierna. Cristo viene rappresentato nell'atto di una sorta di "autoaggiornamento" alla nostra società tecnologica ed "avanzata". Questa commistione spesso diventa controproducente perché purtroppo nel tratteggiare pennellate di "postmodernità" c'è il rischio sempre presente di sconfinare nel kitsch e nel cattivo gusto, cosa che fin troppo spesso succede. Vi sono anche dei momenti molto toccanti (come nella vicenda di una malata terminale interpretata da Rosalinda Celentano), però e sempre percepibile una nota stonata, un eccesso che non si è riuscito a contenere.
In pratica 7 km da Gerusalemme ha la potenzialità poco invidiabile di scontentare tutti. Chi ha gli strumenti per comprendere il sottotesto presente nel racconto sarà irritato da quanto questo sia scoperto e pedantemente didascalico. Chi ha poca dimestichezza con i fondamenti della nostra dottrina resterà disorientato e correrà il rischio di vedere l'ironia presente nella sceneggiatura come uno sfortunato umorismo involontario. Questo viene detto non senza dolore, perché c'è più di uno spunto apprezzabile, ma insufficiente a rendere 7 km da Gerusalemme riuscito e convincente.
La frase: "Sono Alessandro Forte e sono un pubblicitario".
Mauro Corso
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