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4bia











Una ragazza sola e costretta in casa da una gamba fratturata inizia un rapporto tramite messaggini con un misterioso corteggiatore telefonico che le ha inviato un sms.
Un gruppetto di studenti in vena di bullismo finisce per pagare caro ciò che hanno combinato ad un compagno di scuola, a loro insaputa dedito alla magia nera.
Quattro amici in campeggio nella foresta si raccontano storie di fantasmi, fino al momento in cui, durante un’escursione in canotto, uno di loro annega; con inevitabili conseguenze destinate a concretizzare quelle che ritenevano solo leggende volte allo spavento.
Nel viaggio verso la cremazione reale, una giovane assistente di volo viene incaricata di sorvegliare la salma di una principessa deceduta a causa di una allergia agli scampi.
Rispettivamente diretti da Yongyoot Thongkongtoon ("The iron ladies"), Paween Purikitpanya ("Body"), Banjong Pisanthanakun ("Shutter" e "Alone") e Parkpoom Wongpoom ("Shutter" e "Alone" anche lui), sono questi gli episodi che costituiscono "4bia", antologia horror thailandese che, come il titolo stesso lascia intuire, affronta attraverso il genere quattro diverse tipologie di paura.
Infatti, se il primo (il migliore), capace di coinvolgere lo spettatore in maniera efficace senza permettere di pronunciare alcuna parola alla protagonista per farla esprimere esclusivamente tramite sms, tira in ballo la paura di essere soli, il secondo si concentra su quella delle rappresaglie; fornendo, però, uno spettacolo eccessivamente fracassone, destinato a perdersi in maniera confusionaria tra veloci movimenti di macchina e ridicoli spettri digitali, nell’evidente tentativo di emulare (piuttosto maldestramente) i teen-splatter a stelle e strisce alla "Final destination".
Grazie ad una spruzzata di sana ironia, volta in particolar modo a sbeffeggiare proprio il fantasmagorico filone a cui appartiene la pellicola stessa, andiamo un po’ meglio con il terzo, riguardante la fobia di ciò che accade nella notte e che anticipa quella nei confronti della morte, al servizio del tassello conclusivo.
Un tassello che riporta di sicuro alla memoria altre pellicole dell’orrore americane ambientate ad alta quota (si pensi a "Orrore a 12000 metri" con William Shatner o ad uno degli episodi inclusi nel collettivo "Ai confini della realtà"), ma che, tra spettri femminili e silenzi, del poker sembra essere, paradossalmente, quello più legato alle ghost-story di matrice orientale.
Seppur al servizio di una godibilissima operazione il cui maggiore pregio è individuabile proprio nella capacità di distaccarsi dal look tipico dei vari "The ring" e derivati per sfoggiare tematiche e ritmi narrativi non lontani dall’horror americano; tanto da conferirle un look internazionale e da renderla facilmente fruibile (e digeribile) per lo spettatore privo di occhi a mandorla.

La frase:
"Come mai i fantasmi donna hanno sempre i capelli lunghi e sono sempre tutte pallide?".

a cura di Mirko Lomuscio

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