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35 Rhums
Lo sfondo è quello della Parigi delle Banlieu, quartiere di periferia dove in enormi palazzoni che sembrano così freddi e impersonali, un uomo e sua figlia vivono insieme dipendendo l’uno dall’altra, in attesa del momento in cui la giovane ormai cresciuta dovrà prendere il volo.
Il film "35 Rhums", della regista francese Claire Denis ("Ten Minutes Older: The Cello", "L’Intrus"), presentato al pubblico del Festival del Cinema di Venezia 2008, sembra quasi un racconto di vita quotidiana, come ne esistono tanti, incentrato sull’amore, sulla solitudine e sul bisogno di essere parte dell’esistenza di qualcuno.
Ciò che colpisce è l’estrema dedizione che Joséphine, (Mati Diop al suo esordio), ha nei confronti di suo padre, Lionel (Alex Descas, "L’Intrus", "Ten Minutes Older: The Cello") e la tenerezza che lui le mostra, cose perfettamente naturali e che si vedono in ogni famiglia, ma che nel film sono accentuate tanto che inizialmente si pensa quasi che i due siano una coppia. Questo affetto così profondo viene messo in evidenza dal soffermarsi della telecamera sui primi piani degli sguardi "innamorati" dei due protagonisti, e sugli oggetti che li riguardano e che esprimono il loro rapporto nella quotidianità.
L’effetto che ne deriva però quasi stride, perché mostra una certa solitudine, quasi un lungo agonizzante addio nell’attesa che Joséphine, cominci la sua vita di persona adulta.
Ad alimentare questo senso malinconico la presenza di due inquilini dello stesso palazzo dove vivono i due protagonisti, un ragazzo dell’età di Joséphine, Noé (Grégoire Colin "L’Intrus", "Vendredi Soir") che è sempre in giro per il mondo, e una donna sola di mezza età che per vivere fa la tassista, Gabrielle (Nicole Dogue, "Alissa", "Transit").
I quattro, sembrano quasi una famiglia allargata, si aiutano e sostengono a vicenda, come fossero gli unici affetti che hanno al mondo, come se vivessero in un universo tutto loro, apparentemente distaccato dalle altre persone che inevitabilmente incrociano nella loro vita. Tutta la loro esistenza si concentra sugli strani intrecci che li legano, che a volte paiono solo d’affetto e preoccupazione, a volte d’odio, altre ancora di amore profondo. Tutta la sfera emotiva, tutto ciò che li riguarda, pare relegato a quei tre piani in cui vivono. Tutti i personaggi di contorno, infatti, appaiono per pochi istanti, pur avendo un impatto decisamente forte sui protagonisti.
I ritmi lenti, e gli sguardi nostalgici degli interpreti aumentano questo senso quasi di vuoto interiore, e ci si chiede cosa realmente abbia voluto trasmettere la regista allo spettatore, se il senso di amore profondo tra le persone, la paura del distacco e della solitudine, o un elevato senso di normalità nella vita che scorre.
Una regia pulita, senza fronzoli di nessun genere, e una fotografia bella si, ma senza eccessi, nonostante le potenzialità che la città offre, (Parigi nel suo aspetto turistico non si intravede praticamente mai!), evidenziano un senso di routine, di calma apparente, che non viene scossa nemmeno nel momento più tragico del film, ne in quello più felice.
La frase: "Non sentirti costretta ad accudirmi. Pensa un pò a te stessa.".
Monica Cabras
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