Un'altra giovinezza
10 anni per tornare dietro alla macchina da presa, con un film in cui Francis Ford Coppola ha impresso un forte tratto personale (è da lui scritto, prodotto e diretto) e un eco autobiografico. Era infatti - come il protagonista - alle prese da molto tempo con un lavoro (la sceneggiatura di “Megalopolis”) che non riusciva a terminare. E’ venuto quindi in contatto con il romanzo “un’altra giovinezza”, dell’autorevole storico delle religioni Mircea Eliade, che in qualche modo lo ha sbloccato, soprattutto permettendogli di trattare due aspetti in particolare che lo interessavano: le origini della conoscenza e della parola. Il nucleo della vicenda è faustiano nel contrasto tra cuore e testa, e l’estremizzazione del ruolo negativo della scienza è impersonata da uno sperimentatore del Terzo Reich.
Mentre, sullo stesso piano, l’imminenza del pericolo di guerre nucleari – visto dalla prospettiva di un razionalismo cinico e fatalista - diventa fattore di superamento dell’homo sapiens. Ma il ringiovanimento del protagonista vuole pure offrire una seconda possibilità, in risposta al melanconico ricordo di una donna persa per aver privilegiato lo studio rispetto all’amore. Nel procedere, i temi, le presenze e i simbolismi si accumulano: lo sdoppiamento, la scoperta e l’esercizio di potenzialità come antidoto al pessimismo, la rigenerazione da metempsicosi, il limbo del Tempo (con il futuro simile al sogno), le estasi paramedianiche, gli angeli intermediari.

Coppola traccia un bilancio artistico-esistenziale denso di suggestioni e influenze filosofico-religiose orientali, che è anche il punto d’arrivo di una ricerca interiore (“fare un film – sostiene - è come fare una domanda, e quando hai finito la risposta è il film”), nella scoperta – evidenziata dall’uso di molteplici idiomi - che il linguaggio è tutto. Coerentemente, anche il film si divide in due, ma con una prima parte serrata, inquietante, e una seconda che perde quota impattando più volte nel comico involontario. Per arrivare ad un finale amaro, e però pacificato, cosciente dei vuoti e dei rimpianti della vita.

La frase: "Alle volte, vengo preso dal dubbio che non riuscirò mai a finire la mia più grande opera: il libro della mia vita".

Federico Raponi

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