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Young Adam
Ménage à trois su chiatta. Questa è la definizione, troppo semplicistica, ma allo stesso tempo più significativa e sintetica che mi viene da dare al primo lungometraggio del "cortista" Mackenzie. Joe (Ewan McGregor- Black Hawk Down) lavora come manovale sulla chiatta di Leslie (Peter Mullan-My name is Joe) e di sua moglie Ella (Tilda Swinton-Vanilla Sky), che naviga incessantemente sulle acque del fiume Clyde, in una Glasgow degli anni '50. Un giorno i due uomini tirano a bordo il corpo di una donna morta annegata. Mentre le indagini della polizia proseguono, la vita dei tre cambia radicalmente. Joe si sentirà sempre più attratto dalla sciatta Ella, che grazie a lui ritroverà la sua femminilità ed il coraggio di lasciare il rozzo Leslie, interessato alla cronaca nera e al gioco delle freccette. La storia fra i due però non sarà a lieto fine, poiché il cupo Joe, dall'indole vagabonda, nasconde un segreto che lo rende irrequieto...
Trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Alexander Trocchi, Young Adam è pieno di tutti quegli anticonformismi che caratterizzano la "beat generation" di cui l'autore è uno dei massimi esponenti. Joe non è un ribelle, ma un uomo alla ricerca di sé stesso. È un ragazzo che sotto un'apparente apatia e autocontrollo, nasconde un turbinio di passioni, a volte morbose. Le sue esperienze sessuali sono crude, senza tenerezza né sentimento, non gli servono per esprimere particolari emozioni o stati d'animo, ma solo per sfogare quell'universo insoluto (e insolubile) che nasconde agli sguardi conformisti e indiscreti della gente. Sarebbe fin troppo facile considerare Joe un vizioso, un amorale, un irresponsabile, ma l'intento del regista non è quello di spiegare cosa lo muove, ma di mostrare come può agire un "altro" uomo, un uomo che rifugge qualsiasi perbenismo e falso moralismo. Le sue inquietudini, i suoi silenzi, le sue diffidenze nascondono un animo ben più profondo di quello che appare, squassato dai sensi di colpa e dalla continua insoddisfazione: come il Dean di Kerouac, Joe è scontroso e reticente, avido d'affetto ma allo stesso tempo aggrappato ad un ideale di vita libero da qualsiasi vincolo. Il mondo descritto dal regista è grigio, uniforme e sommesso. A tratti abbiamo magnifiche visioni di paesaggi ricchi di verde e blu, ma tutto ci è mostrato en passant, a dimostrazione del fatto che tutto ciò che non è indispensabile ai fini della storia, è inutile. La regia è minimalista, addirittura scarna. L'interpretazione dei protagonisti è intensa. La storia è torbida e, soprattutto all'inizio, poco comprensibile. Nel prosieguo invece, grazie soprattutto al sapiente uso del flash back, si arricchisce di elementi tipici del noir anni '40 e di sviluppi del tutto inattesi. La chiatta diventa la metafora della vita di Joe: così come lui corre senza fermarsi, la chiatta scorre calma ma inesorabile sulle acque torbide e invitanti del Clyde. Il ritmo lento, i primissimi piani, le musiche toccanti di David Byrne e la fotografia curatissima, sono il risultato di un lavoro di ricerca di mezzi espressivi quasi primordiali, ricchi di intensità e privi di inutili belletti, che fanno di questo film un'opera molto particolare, difficilmente vendibile su grande scala.
Teresa Lavanga
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