Welcome To Collinwood
Se non vi scandalizzate a vedere Sam Rockwell nelle veci di Vittorio Gassman (Peppe er Pantera) se non rabbrividite all'idea che al posto di Ferribotte (Tiberio Murgia) ci sia Isaiah Washington, uno degli attori preferiti da Spike Lee, se non vi viene la pelle d'oca nello scorgere in luogo della smorfia bislunga di Totò (Dante Cruciani) il sorriso beffardo di Gorge Clooney, allora questo film potrebbe anche non deludervi.
"Welcome to Collinwood", coprodotto dalla premiata ditta Soderbergh-Clooney, e diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo, è, nell'ordine, la quinta opera ispirata al felice film di Mario Monicellli del 1958, "I soliti ignoti". Più che ispirato è più corretto dire che ne costituisce un remake a tutti gli effetti. La trama è pressoché identica a quella del film italiano sceneggiato da Age, Scarpelli, Cecchi d'Amico e lo stesso Monicelli. Per gli ultimi arrivati ricordiamo che si racconta la storia di un gruppo di criminali da strapazzo alle prese con il colpo che potrebbe cambiare per sempre la loro vita, in gergo chiamato "il Bellini". Ladri squinternati ed improbabili, uno sbruffone (Sam Rockwell), un vecchio malandato (Michael Jeter, nel ruolo che fu di Carlo Pisacane, il mitico "Capannelle"), un fotografo disoccupato (William H. Macy, nel ruolo di Marcello Mastroianni), un nero geloso della sorella (Isaiah Washington, per l'appunto), un ragazzo innamorato (Andrew Davoli, nel personaggio interpretato nell'originale da Renato Salvatori), avranno a che fare con qualcosa al di sopra delle proprie possibilità che solo la disperazione ed il miraggio di un futuro ricco gli faranno affrontare anche se con risultati comici e grotteschi. Come detto, la trama segue quasi pedissequamente l'originale italiano, così come le caratteristiche dei personaggi non si discostano dallo script dei nostri sceneggiatori. E, se dal punto di vista della trama tutto sommato non dispiace che questa sia stata ricalcata senza troppa originalità, lo stesso non può dirsi per le psicologie dei personaggi. Troppo personali e troppo magnificamente peculiari le interpretazioni degli attori italiani per entrare in competizione con quelle del cast messo su da Soderbergh e Clooney. E questo non per le scarse qualità degli interpreti made in Usa, William H. Macy (indimenticabile nel ruolo del marito arruffone ed incapace in "Fargo" dei fratelli Cohen) ad esempio è autore di un ottima prova, così come Clooney disegna un delizioso cameo, ma perché tra i due cast c'è un abisso che li divide. Un abisso formato da diverse esperienze, diversi mondi, diversi tempi. Passatemi il paragone, ma è come chiedere ad un Pollock di ricopiare un Michelangelo o viceversa. Comunque, nonostante l'arditezza dell'impresa, il film tutto sommato risulta divertente grazie anche a qualche virtuosismo registico che i due fratelli Russo si concedono e al discreto ritmo che riescono ad imprimere alla loro opera.
Andate a vederlo con molta condiscendenza e non rimarrete delusi (a parte scoprire che il personaggio di Claudia Cardinale non è più così timida e timorata come quando era la sorella di Ferribotte...)

Daniele Sesti

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