Via Castellana Bandiera
Due macchine si incontrano in una via di Palermo. La strada è stretta ed è necessario che una delle due lasci passare l’altra, ma né l’una né l’altra sembrano intenzionate a farlo. Alla guida di una macchina c’è una donna anziana che sta accompagnando a casa la famiglia, residente proprio in via Castellana Bandiera. L’altro veicolo è occupato da una coppia di donne (Emma Dante e Alba Rohrwacher) di ritorno da Roma e dirette ad un matrimonio. Il piccolo conflitto si trasforma progressivamente in un problema molto più grosso e che coinvolgerà residenti della via e gente di passaggio...
Il film di Emma Dante prende subito le distanze da buona parte della produzione cinematografica italiana (contemporanea): lì dove ci si ritrova spesso di fronte ad intrecci narrativi o espedienti stilistici che sembrano mascherare un’assenza di contenuti, "Via Castellana Bandiera" è sostenuto da una solida idea di fondo e, più che un ambiente e dei personaggi, sembra volerci raccontare una condizione interiore, esistenziale, che attraversa trasversalmente tutti i suoi protagonisti. La via del titolo è una strada storica e popolare, luogo ideale per raccontare delle contraddizioni che animano la città e abbozzare, magari, l’affresco di un determinato contesto sociale. Ma ad Emma Dante non è questo che interessa: la sua "castellana bandiera" diventa il punto di incontro e scontro tra due donne accomunate da un sentimento di profonda solitudine che la regista ci fa percepire a piccole dosi, in un crescente climax di insofferenza.
Un interesse che va più verso l’universale, scampando il pericolo di precipitare nel luogo comune: certo, il fascino per quella realtà fatta di comari urlanti, vecchi capo-famiglia e improvvise aggregazioni filo-mafiose c’è ed è grande, ma la Dante ha il pregio della leggerezza e dell’ironia e, come detto prima, il suo lavoro nasce un’esigenza che va in tutt’altra direzione. Tutti i personaggi, infatti, sembrano come inglobati in una dimensione quasi senza speranze, come mossi da un’inerzia cosmica. Al di là di quali possano essere le motivazioni individuali, ognuno di loro è sembra portare sulle spalle un carico dal peso insopportabile.
Purtroppo, però, ad un’idea così stimolante non corrisponde una realizzazione altrettanto solida; il ritmo del film, in particolare, è davvero mal gestito, e così una prima parte molto efficace viene danneggiata da tempi morti e scelte discutibili nella seconda e, soprattutto, dall’incapacità di portare a piena evoluzione certi tratti dei personaggi, certe dinamiche, ma anche interi passaggi narrativi, che la Dante sembrava interessata a sviluppare.
Errori e imperfezioni da film d’esordio, probabilmente, ma che condizionano la coerenza e la compattezza di tutta l’opera, lasciando in bocca il sapore di un lavoro a metà, con degli spunti davvero interessanti, ma che soffre inevitabilmente di una struttura traballante.
La frase:
- "Che lavoro fai?"
- "Disegno fumetti"
- "Minchia, e questo un lavoro è?".
a cura di Stefano La Rosa
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