Verso Est
Una regista come Laura Angiulli ha, sfortunatamente per i nostri tempi, dei meriti che vanno ben oltre il semplice merito artistico o di analisi della realtà di un lavoro come questo Verso est. Esistono, purtroppo, alcuni argomenti e alcune tematiche che sono drammaticamente tabù non solo in Italia ma in tutta Europa. Una cosa di cui non si parla più, alla quale si preferisce non pensare, è una vicenda storica, un orrore che ha avuto luogo nel seno della civilissima Europa: il genocidio (perché di questo si è trattato) della popolazione di etnia bosniaca a seguito della crisi della situazione dei Balcani. Non, si badi bene, un massacro caduto dal cielo all’improvviso, ma il punto di svolta di una vicenda storica che trova le sue radici almeno nel XIV secolo e nell’epica nazionalistica serba scaturita dalla battaglia di Kosovo Polje. Una folle mattanza che era possibile prevedere e che era possibile fermare e il cui scomodo ricordo resterà per sempre una macchia indelebile nella storia dell’unità europea.

Verso est, realizzato con una tecnica mista, è stato per lo più girato in Serbia e si avvale della collaborazione di Predrag Matvejevic’, già dissidente ai tempi del comunismo, scrittore esperto di balcanistica e professore di lingua e letteratura serba presso l’università di Roma La Sapienza. Inoltre il documentario ospita la partecipazione delle componenti dell’associazione delle madri di Srbenica, il cui sguardo inconfondibile (lo stesso delle madri di Plaza de Mayo), porta il carico di un ricordo destinato a non spegnersi mai, la memoria del giorno in cui un figlio è stato portato al proprio supplizio.

La Angiulli non intende educare o costruire un percorso di memoria (chi la ascolterebbe?), ma preferisce piuttosto creare un percorso che agisca nel profondo e in maniera impercettibile, lungo l’agile esposizione di soli settantatré minuti. A questo scopo Laura Angiulli usa tutto l’arsenale a disposizione della professione di regista, affidandosi a diversi registri narrativi. In primo luogo il documentario, brani girati appositamente per questo lavoro con testimonianze portate da sguardi e parole. In secondo luogo vengono usate immagini di repertorio, la memoria violenta di cui giorni dell’Europa impotente, fino alle drammatiche sequenze della distruzione del ponte di Mostar. Poi esistono poche riprese di finzione, raccordi che rendono ancora più crudo lo snodo narrativo.
Infine sono state realizzate appositamente delle parti teatrali, che hanno una forza di sintesi del tutto particolare rispetto al resto del girato. Di particolare energia la sequenza in cui le donne vengono portate a un concerto di memoria, con fiamme vere che si riflettono sempre, invisibili, nei loro occhi.

Il documentario si conclude con la sepoltura di alcune delle più di 8.000 vittime (sarebbe differente se fossero cinquanta o duecento?), avvenuta soltanto, ed è bene sottolienarlo – soltanto - l’11 luglio 2007. L’augurio che questo film possa circolare al di là dei soli circoli slavistici è quanto meno doveroso.

La frase: "Vattene mamma, non voglio vedere che ti allontani".

Mauro Corso

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