Valzer
Lo schermo è completamente nero, mentre una voce fuori campo dice: "Mamma, mamma perché sei così?".
Stimola immediatamente curiosità l'ultima fatica di Salvatore Maira, docente di letteratura italiana presso La Sapienza di Roma, autore, tra l'altro, di "Donne in un giorno di festa"(1993) e del film-documentario "Le donne di San Giuliano" (2004), costruita su un unico piano sequenza all'interno di un grande albergo.
Albergo in cui il movimento della macchina da presa, accompagnato dal valzer della colonna sonora, traccia un intuibile balletto che, a mo' di metafora politica relativa ai diversi livelli del potere, ci conduce dai piani inferiori, nelle zone di servizio, dove una giovane cameriera "illumina" un padre tornato per rivedere dopo vent'anni la figlia, a quelli superiori, tempio dei cinici ed avidi padroni del calcio; fino al momento in cui le due separate vicende convergono in un'unica conclusione.
Ed è in questo contesto che Maira, attraverso uno script corredato di dialoghi tutt'altro che disprezzabili e supportato anche da un cast in gran forma, all'interno di cui spiccano in particolar modo Valeria Solarino ("La febbre"), Marina Rocco ("Operazione Stradivari") ed un insolito Maurizio Micheli ("Rimini Rimini") alle prese con un convincente ruolo drammatico, tira in ballo le diverse brutture che affollano la società tricolore (e non solo) del terzo millennio, da calciopoli al business dei sexy calendari, senza dimenticare la mania sfrenata del ricorso alla chirurgia estetica e parlando perfino di un ipotetico reality show ambientato in un campo di concentramento.
Una società che, dietro il "fascino" del successo e del denaro, lascia in realtà vedere un non indifferente agglomerato di solitudine, tanto che "Valzer", per merito della più o meno latente inquietudine conferita dalle ombre della bella fotografia di Maurizio Calvesi ("Io, l'altro"), appare in maniera evidente come un noir dai toni tragici che possiamo tranquillamente catalogare tra i gialli.
Quindi, un più che riuscito ed intelligente esperimento che, sicuramente non adatto a facili palati, non solo propone un ottimo esempio di fusione tra i tempi recitativi del teatro e la tecnica di ripresa cinematografica, ma valorizza una volte per tutte il lavoro dei tecnici, figure di cui spesso, perduti dinanzi alla visione, ci si dimentica con troppa ed facilità.

La frase: "In fondo abbiamo compiuto il delitto perfetto"
"Perché?"
"Perché abbiamo ammazzato la realtà, ma nessuno riuscirà mai a scoprire il cadavere della realtà"

Francesco Lomuscio

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