Burnt By the Sun 2: The Exodus
Sedici anni sono trascorsi da "Il sole ingannatore", premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria e vincitore dell’Oscar come Miglior film straniero. Uno dei più sopravvalutati registi russi, il moscovita Nikita Mikhalkov, torna con il sequel e, come siamo ormai abituati ad attenderci, come tutti i secondi capitoli piega il finale del capostipite a suo uso e consumo. Così il protagonista, il generale Kotov, interpretato dallo stesso regista, non è morto nel gulag dove è stato rinchiuso, dopo il tradimento di Mitya Arsentyev, ma è riuscito a fuggire. Nel 1941 si arruola come volontario e va al fronte, a combattere i nazisti. L’uomo è convinto che la moglie e la figlia siano morte in un campo di lavori forzati, in realtà non è così, anzi la figlia Nadya (la bionda reale figlia di Mikhalkov) è sopravvissuta e, per cercare il padre, si è arruolata come infermiera. Il "la" per questo film pare sia venuto a Mikhalkov dopo la visione di "Salvate il soldato Ryan" di Steven Spielberg. Tant’è.
40 milioni di dollari di budget dichiarati (secondo alcuni 55), appoggiato da Putin e dal Ministero della Cultura che lo ha finanziato (a detta del regista, nonché qui attore e sceneggiatore, solo 2 milioni di dollari dal governo, gli altri da fondi privati), è il film più costoso di tutta la storia del cinema russo e si nota senz’altro. Lo zar Mikhalkov, amico dei potenti, non sa andare però oltre scene magniloquenti, stucchevoli per barocchismo e ridondanza, arricchite da molti suoi primi piani e da simbologie elementari. Lo scopo è mostrare la sofferenza del popolo russo durante la Seconda Guerra Mondiale: le condizioni disumane, le carneficine, in una sottolineatura portata avanti con una mano da cineasta pesante come un macigno, in un lavoro di accetta piuttosto che di cesellatore. Si salva ben poco da questa retorica insistita del dolore, che cede spesso a un ridicolo involontario, tanto più ripugnante vista la materia trattata. Si passa da un’epica patinata e manierista alla brutalità, alla man bassa di cliché di genere bellico: irritante allo stremo, perché ciò che davvero passa, nelle oltre due ore di visione, è l’Ego del regista, l’essere portatore (furbo) di un messaggio (che si fatica a rintracciare, in questo minestrone di tematiche) che suona così falso da rendere impossibile ogni empatia. Se il film si conclude con un "fine della prima parte" che ha prodotto risate e qualche brivido in prospettiva, possiamo stare tranquilli, per "Il sole ingannatore 3 – La cittadella" pare siano previsti sei anni di lavorazione.

La frase: "Cos’è, è il circo?".

Donata Ferrario

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