Una vita violata
Se il regista Riccardo Sesani non può fare a meno di essere ricordato dai cinefili stracult per avergli regalato quel "Buona come il pane" (1981) in cui una giovane e florida Carmen Russo faceva ampio sfoggio delle proprie grazie, non risulta certo sconosciuto agli stessi neppure il protagonista Marco Di Stefano, il quale, pur vantando un curriculum comprendente collaborazioni con Paolo e Vittorio Taviani, Luigi Magni e Mauro Bolognini, è comparso in diverse produzioni di genere, da "Delirio di sangue" (1988) di Sergio Bergonzelli a "L’eremita" (2012) di Al Festa, passando per "Quando Alice ruppe lo specchio" (1988) di Lucio Fulci.
In un continuo alternarsi di bianco e nero e colore illuminati da Luca Silvagni, però, "Una vita violata", ponendo Di Stefano nei panni di un magistrato traumatizzato dall’omicidio della moglie, avvenuto anni prima, e pronto a credere nel racconto di una violenza subita dall’aspirante attrice June Mancinelli per mano del noto produttore Valerio De Stefanis, rientra tutt’altro che nell’exploitation su celluloide.
Infatti, con il televisivo Edoardo Velo nel ruolo di quest’ultimo e la brava June Ichikawa de "La terza madre" (2007) impegnata a concedere anima e corpo alla ragazza, siamo dinanzi a un’operazione che, pur lasciando intravedere l’anima di un rape and revenge (film basato su stupro e vendetta), è classificabile, a tutti gli effetti, nella categoria dei lungometraggi a tematica giudiziaria.
Un’operazione che, coinvolgendo nel cast anche la ex Miss Italia Nadia Bengala, l’Aldo Massasso di "M.D.C. -Maschera di cera" (1997) e il Gaetano Amato della fiction "Moana" (2009), si basa sulla progressiva ricostruzione dei fatti; man mano che il magistrato ricade nel suo passato remoto che credeva di aver cancellato e che sembra essere dietro l’angolo una nuova storia d’amore.
Perché, in fin dei conti, mentre viene ribadito che non è importante dare anni alla vita, ma vita agli anni, appare evidente che lo scopo principale della pellicola di Sesani sia quello scuotere la sensibilità dello spettatore nei confronti del grave ed insuperabile problema della violenza, soprattutto di quella usata sul gentil sesso.
Nel corso di un’ora e mezza di visione forse più adatta al piccolo che al grande schermo e caratterizzata da una recitazione non sempre convincente, ma che, considerando i pochi mezzi a disposizione, non appare disprezzabile e non sembra neppure dimenticare di ricordare, in maniera sentita, come i produttori cinematografici siano ormai una razza in estinzione.
La frase:
"Il dottor Valerio De Stefanis prometteva lavoro in cambio di prestazioni sessuali?".
a cura di Francesco Lomuscio
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