Notte al museo 3 - Il segreto del faraone
Richiamando alla memoria, in un certo senso, le ambientazioni care sia alle avventure di Indiana Jones che quelle della saga “La mummia” interpretata da Brendan Fraser, non a caso influenzata proprio dalle vicende dell’archeologo spielberghiano con il volto di Harrison Ford, è nell’Egitto del 1938 che prende il via questa seconda continuazione di quel “Una notte al museo” (2006) che, diretto da Shawn Levy, calò Ben Stiller nei panni di un guardiano notturno del Museo di Storia Naturale, destinato a scoprire che tutte le creature primordiali e le figure dell’antichità che lo circondavano prendevano magicamente vita al calare dell’oscurità.
Seconda continuazione che, a cinque anni dal poco riuscito “Una notte al museo 2-La fuga” (2009), che si svolse negli immensi depositi dello Smithsonian con sovrano egizio risvegliatosi dopo tremila anni e intento a controllare il mondo, vede il protagonista costretto a spingersi fino al British Museum di Londra a causa di una faccenda piuttosto grave: il potere magico della tavola di Ahkmenrah comincia a morire.
E, ovviamente, al di là del figlio, incarnato dallo Skyler Gisondo di “The amazing Spider-man 2-Il potere di Electro” (2014), ad affiancarlo nel duro tentativo di salvare la magia sono gli amici di sempre; dall’Attila di Patrick Gallagher, perfetto quando servono i muscoli, a Teddy Roosevelt, l’uomo per i piani anticrisi cui concede anima e corpo il compianto Robin Williams (il film è dedicato a lui e a Mickey Rooney, che torna soltanto per pochi secondi su sedia a rotelle).
Ma, mentre lo stesso Stiller si cimenta anche nella parte di un cavernicolo e la colonna sonora sfodera “London calling” dei Clash e “(I’ve had) the time of my life” di Bill Medley e Jennifer Warnes, abbiamo nuovamente in scena Owen Wilson e Steve Coogan impegnati a riprendere i ruoli dei minuscoli Jedediah e Ottavio; i quali, oltretutto, finiscono in una Pompei corredata di immancabile vulcano in eruzione.
Una Pompei sfruttata anche per omaggiare Godzilla con la complicità della dispettosa scimmietta Dexter, nel corso di una sequenza dagli esiti talmente trash da rappresentare una delle pochissime note stonate dello script a firma di David Guion e Michael Handelman (sceneggiatori della commedia “A cena con un cretino”).
Perché, man mano che il cast include il premio Oscar Ben Kingsley, una Rebel Wilson sorvegliante al museo inglese e Dan Stevens inserito nell’armatura di un combattivo Lancillotto, in mezzo a scheletri di Triceratops, Garuda del Tibet e giganteschi serpenti a nove teste, la giostra di celluloide messa in piedi per la terza volta da Levy funziona in maniera non eccelsa, ma sicuramente meglio rispetto al dimenticato capitolo precedente.
Dispensando, tra un’emozione da effetto speciale e l’altra, la consueta morale sull’amicizia... e con il momento più divertente individuabile nella esilarante apparizione di Hugh Jackman nelle vesti di se stesso.
La frase:
"Sì, è una bella performance, siamo tutti molto in parte, ma non è vero vero".
a cura di Francesco Lomuscio
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