FilmUP - Recensione: L'umanità

L'Umanità
Pharaon de Winter (interpretato da Emmanuel Schotté) è un tenente di polizia che vive da single con sua madre in una strada che porta il suo stesso nome (che è poi quello di un artista) e con pochi amici nella città di Bailleul nel nord-est della Francia. Psicologicamente molto fragile, con la tendenza a piangere quando vede immagini crudeli in televisione, Pharaon è innamorato della sua vicina di casa Domino (Séverine Caneele) un'operaia di 23 anni che è anche sua amica, ma è fidanzata con Joseph (Philippe Tullier) anche lui suo amico (più o meno) che guida il pullman della scuola: sono loro le uniche persone che Pharaon frequenta.
Domino si mostra molto affezionata a Pharaon, mentre lui, dal canto suo, si strugge d'amore per lei, e il fatto di non riuscire ad averla è un vero dramma. Così per dare un senso alla sua vita, si mette a fare il pazzo in bicicletta oppure a coltivare dalie nei giardini pubblici della "città del nuovo mondo". Il lavoro di Pharaon in una sordida indagine, lo porta lentamente alla disperazione, all'orrore della sua stessa colpa.
Diretto da Bruno Dumont (il regista filosofo autore di "L'età inquieta" che si ispira a Bresson) il film, vincitore a Cannes del Gran Premio della Giuria, del premio come miglior attore e come miglior attrice, è una piccola opera metafisica che indaga sul sesso e sulla morte, che ha come protagonisti dei non-attori (per altro come nel caso di "L'età inquieta") che comunque si dimostrano estremamente capaci, e i premi ottenuti lo confermano.
Nonostante tutto, la scelta di premiare un film del genere (e i suoi attori) è stata criticatissima dalla stampa, che, visto il lotto dei partecipanti, si aspettava ben altro finale al Festival.
Coraggiosa comunque la scelta di premiare un cinema arduo e estremamente anti Hollywoodiano.

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