Two Lovers
James Gray, il regista de "I padroni della notte", presentato a Cannes nel 2007, nonché di "Little Odessa" e di "The Yards", con "Two Lovers" conquista e "intrappola" emotivamente lo spettatore, dimostrando di maneggiare le dinamiche sentimentali con la stessa abilità dimostrata nelle sue storie malavitose. Avvalendosi della straordinaria performance di uno dei suoi attori feticcio, Joaquin Phoenix, ci regala un film sulla complessità dei sentimenti e sulle scelte amorose "sbagliate", che calamitano il simile verso il proprio simile, con esiti spesso autodistruttivi.
Protagonista assoluto è Leonard, non più giovanissimo, timido e fragile che, dopo il fallimento di una relazione importante, dopo aver tentato più volte il suicidio, in cura antidepressiva, vivacchia a Brooklyn, nella casa dei genitori ebrei (Isabella Rossellini e Moni Monoshov), che vorrebbero sistemarlo con Sandra (Vinessa Shaw) la figlia di un uomo d’affari, amico di famiglia, intenzionato a mettersi in società con il padre. Leonard conosce nel frattempo anche Michelle (Gwyneth Paltrow) l’affascinante e tormentata vicina di casa, di cui si innamora follemente.
Temi universali, in cui tutti possono identificarsi: l’amore, l’abbandono, la scelta, la sopravvivenza, l’incomprensione da parte di affezionati genitori.
Ha dichiarato Gray: "Un grande regista come Ernst Lubitsch ha detto che anche la persona più onesta e rigorosa di questo mondo è stata ridicola almeno due volte al giorno. E’ questo che provo ad affrontare nel film. Le persone dicono di volere realismo, ma il realismo da solo non è interessante. Quello che cerco è uno stato esistenziale più intenso. Questo credo debba fare anche il cinema".
Two Lovers ci parla di individui fragili, feriti già una volta nei sentimenti, che hanno il timore di rifare di nuovo il salto, di darsi ancora a qualcuno incondizionatamente. Leonard si trova ad un bivio: tra il rischio che è Michelle, così simile a lui, che è l’amore, la passione, l’eccezionalità che dà sapore alla vita e la quiete di Sandra, sensibile e innamorata, porto sicuro, tutto da scoprire, che può risultare, un giorno, una continua bassa marea.
Phoenix, guidato da Gray e da una sceneggiatura senza sbavature, scritta dallo stesso regista con Richard Menello, ispirandosi ad un racconto di Dostoevsky, "Le notti bianche", dà il volto, le espressioni e perfino la postura perfette per il suo personaggio, che cammina come un animale ferito, si esprime talora sopra le righe, cerca di fuggire da un interno familiare che può soffocarlo. Leonard, nonostante il passato, ha il coraggio di spiccare il salto, di darsi di nuovo completamente e di mettersi in gioco, forse per un fantasma d’amore, disegnato a propria misura: lo spettatore viene coinvolto nelle sue attese, nello strazio di telefonate e messaggi che magari non arriveranno, nel talento (per la fotografia) che rinsecchisce in una tintoria, nella claustrofobia della vita nella casa dei genitori, in cui pare manchi l’aria.
La visione lascia addosso una grande malinconia e una tristezza per il finale che ha il sapore della rinuncia. In nome della propria sopravvivenza.

La frase:
- (Leonard) "Odio queste cicatrici"...
- (Sandra) "Leonard, io desidero prendermi cura di te. Sento di capirti. Non cercare di essere diverso... Tu non ti devi preoccupare di nulla, né sentirti imbarazzato".

Giulia Baldacci

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