Tutto tutto niente niente
Chissà che la marginale presenza di Paolo Villaggio nel ruolo del Presidente del Consiglio non voglia rappresentare un ulteriore omaggio alle disavventure di Fantozzi in questo sequel di "Qualunquemente" (2010) che, diretto dallo stesso Giulio Manfredonia già autore del capostipite, sembra guardare in diverse occasioni alla mitica serie comica.
Sarebbe sufficiente citare la grottesca descrizione dell’interno del Palazzo del Parlamento od assurdi personaggi come il sottosegretario incarnato dal mai disprezzabile Fabrizio Bentivoglio per poter intuire l’influenza da parte del lavoro effettuato da Neri Parenti e, soprattutto, Luciano Salce sul personaggio dell’impiegato più sfortunato della celluloide tricolore; mentre Antonio Albanese – inoltre co-sceneggiatore della pellicola insieme a Piero Guerrera – non solo torna a vestire i panni del corrotto imprenditore calabrese datosi alla politica Cetto La Qualunque, ma provvede anche a concedere anima e corpo al nordista estremo Rodolfo Favaretto e a Frengo Stoppato, facilmente dedito all’uso di sostanze stupefacenti.
Quindi, con il primo travolto dalla crisi politica e sessuale, il secondo – convinto che l’italiano sia ormai una lingua superata – impegnato a commerciare in migranti clandestini e il terzo che, alle prese con una religiosissima madre interpretata dalla Lunetta Savino della fiction "Un medico in famiglia", sogna di riformare la Chiesa e di guadagnarsi la beatitudine, è sulla girandola di travolgenti e paradossali situazioni che li vedono protagonisti che si costruiscono i circa novanta minuti di visione.
Man mano che lo schermo si popola di caratteristi del calibro di Teco Celio e Bob Messini, rispettivamente nella parte di un vescovo e di un teologo, e che viene delineato il folle ritratto su celluloide di uno stivale del globo d’inizio XXI secolo in cui – politicamente parlando – non si spera più che a vincere sia il migliore, ma il meno peggio.
Folle ritratto che, tra imprevisti con presunto tè verde, immancabili escort e vaghi riferimenti al berlusconismo, prosegue a dovere – e con la giusta dose di risate – quanto raccontato nel non inferiore lungometraggio precedente; rispetto al quale, però, questo secondo capitolo sfoggia un ritmo decisamente più incalzante e un look meno teatrale e maggiormente legato all’universo cinematografico.
Senza dimenticare di comunicare in maniera fortunatamente divertita che l’Italia, ormai, non possieda altro che i connotati di un Paese ingovernabile se non tramite quell’amore che, in realtà, altro non rappresenta che una delle tante forme di camuffamento della inarrestabile e sempre più dilagante corruzione.
La frase:
"Ormai il politico è diventato un animale in via d’estinzione, sai?".
a cura di Francesco Lomuscio
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