Tutto molto bello
Il vero titolo di quest’opera avrebbe dovuto essere TMB. Tre lettere ambivalenti dal significato certo, ma naturalmente nascosto agli spettatori: in “Tutto Molto Bello” è “Tutto Molto Brutto”. Paolo Ruffini torna al cinema dopo il disastroso “Fuga di Cervelli”, che comunque al botteghino non aveva deluso, per un’opera seconda che, speriamo anche se è difficile, sarà anche l’ultima.
L’opera punta tutto sulle classiche commedie americane anni 80’, tornate ultimamente di moda con il “Parto col folle” di Robert Downey Jr. e Zach Galifianakis, a sua volta ispirato al “Un biglietto in due” di John Hughes, ma la comicità è disastrosa, a tratti volgare e assolutamente fuori luogo. Non è la comicità dei “Vanzina” o dei cine panettoni, ma molto peggio: qui diventa a tratti talmente di basso livello che ridere è quasi impossibile. Le scene all’interno dell’osteria sono povere di dialoghi e regia, ma soprattutto di un minimo di espressività negli attori. Sembrano maschere lontane dal cinema e, sicuramente, più adatte allo show televisivo stile cabaret di programmi tipo “Colorado”.
Giuseppe è un impiegato dell’agenzia delle entrate perfetto e puntiglioso, tanto da multare il padre della donna che gli sta per dare un figlio, interpretati da un Paolo Calabresi chiamato in causa per troppo poco tempo e da un’inutile Chiara Francini. Durante l’attesa pre parto in una corsia conosce lo sfigato Antonio, un Frank Matano assolutamente impresentabile e che dopo il disastro nell’opera prima del comico livornese qui viene anche premiato con uno spazio ancora maggiore. Eros, interpretato da un Gianluca Fubelli anti risata, è un cantante sfigato con idolo Pupo. Proprio la presenza del cantante e presentatore televisivo potrebbe creare un sussulto nel pubblico più datato, ma sarebbe più un riflesso incondizionato. Angelo Pintus è il nuovo compagno di una ex fiamma di Eros, che armato di fucile aumenta il sistema di areazione della macchina di Giuseppe.
L’intreccio si svolge tutto nell’arco di una notte in cui la vita del protagonista e regista cambia: suo malgrado si ritrova trascinato all’interno di una villa dove uno sceicco, tra i più tristi della storia, sta dando una grande festa in maschera. I tre protagonisti, moschettieri che rappresentano il declino del nostro cinema, ne passano di tutti i colori per tornare in ospedale. La presenza della bella Nina Senicar è talmente inutile che tagliandola si sarebbe risparmiato budget sprecato: il suo innamoramento con Matano è da libro dei misteri. Purtroppo per Ruffini qui ha tentato di toccare temi molto profondi sbagliando tutto dall’inizio alla fine: se tutto ciò è sopportabile in una pura commedia non può esserlo in un film che paventa serietà. Volete cercare un modo per vederlo a tutti i costi? Non esiste, la speranza maggiore è che sia tutto un’illusione.
La frase:
"Sono stato rapito da degli arabi e sono nella villa di un emiro omosessuale vestito da uccello".
a cura di Thomas Cardinali
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