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Tutti i santi giorni











Guido (Luca Martinelli) e Antonia (Federica Victoria Caiozzo) sono una coppia di trentenni innamoratissimi. Lui lavora di notte in un albergo, lei è impiegata in un autonoleggio. Ogni mattina, lui torna a casa e le porta la colazione a letto e lei si sveglia già presa dalla passione; poi lei va a lavoro, lui dorme e si sveglia quando lei torna. Tutti i giorni, i due protagonisti vivono questa routine, che ormai dura da sei anni. Entrambi sembrano esserne soddisfatti ma, man mano che la storia va avanti, capiamo che avrebbero voluto fare altro nella vita: Guido ricevette un invito per insegnare in un’università statunitense ma rifiutò; Antonia scrive canzoni (in inglese perché, dice, che in italiano non sa parlare bene) e il suo sogno è sempre stato quello di diventare cantante. I due però si accorgono che qualcosa manca nella loro vita di coppia, una lacuna che deve essere colmata al più presto: vogliono un figlio, che però non arriva poiché entrambi hanno problemi di infertilità.
Paolo Virzì, regista affermato e conosciuto soprattutto per film come "Ovosodo" e "Caterina va in città", sceglie di raccontare nel suo ultimo lavoro una storia d’amore dai tratti particolari (i due strambi protagonisti sono ben caratterizzati e delineati a tutto tondo), non eccessivi ma nemmeno così comuni. Questa storia è liberamente ispirata al libro di Simone Lenzi "La generazione", cui però non sembra aggiungere molto in qualità di trasposizione cinematografica: Virzì non è certo alle prime armi, tuttavia allestisce un racconto che a volte non fila come dovrebbe, pieno di "plasticismi" di regia e soluzioni stilistiche già viste e riviste.
La colonna sonora costituisce una parte importante del film, forse troppo: scritta ed eseguita interamente da Thony (nome d’arte della Caiozzo), è presente in ogni situazione, fino a diventare anche un po’ invadente; composta da canzoni acustiche cantate – in inglese – dall’attrice stessa, risulta anche un po’ monotona (i brani, per struttura e sonorità, si somigliano tutti) poiché ogni vicenda è commentata nello stesso modo e perde il suo spessore.
Una nota di merito va invece al miscuglio di lingue e dialetti che si trovano nel film: Guido è Toscano, suo fratello sposa un’americana che parla quasi solo inglese, in albergo arrivano un uomo d’affari cinese e un gruppo di hostess tedesche; Antonia è siciliana, il ginecologo cui si rivolge per il test della fertilità è un simpatico napoletano; senza contare che i due protagonisti vivono ad Acilia, nei pressi di Roma, e i loro vicini parlano un romanaccio da commedia di Carlo Verdone. Ogni personaggio si fa forte del suo dialetto e ce lo espone in un continuo elenco di termini dialettali che arricchiscono tantissimo la sceneggiatura e tirano fuori una stupenda italianità, a volte eccessiva, ma sempre divertente.
A parte la parentesi linguistica, e qualche battuta che fa ridere di gusto, il film di Virzì non sembra perfettamente riuscito: l’operato del regista somiglia a quello che il collega Luca Lucini ha scelto di adottare per l’adattamento cinematografico del libro di Federico Moccia "Tre metri sopra il cielo", ovvero cercano di raccontare la storia del romanzo attraverso le immagini, nel modo più accattivante e commerciabile possibile. "Tutti i santi giorni" è una commedia a tutti gli effetti, dunque la sceneggiatura è al primo posto in ordine di importanza ed è doveroso che la regia la segua e la esalti il più possibile, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un film quasi totalmente privo di sforzo creativo.

La frase:
- "Ma il peggio ancora deve venire. Sei pronto?"
- "Prontissimo".

a cura di Fabiola Fortuna

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