Tutti i rumori del mare
Un personaggio che è il nulla, ha azzerato tutte le sue emozioni, è fermo, al contrario del mare, che si muove sempre.
E’ il signor X che, incarnato da Sebastiano Filocamo, si è lasciato alle spalle un passato doloroso e irrisolto, scegliendo di vivere senza identità e lavorando per un’organizzazione che traffica in merci ed esseri umani; in particolare, donne da avviare alla prostituzione di alto bordo, fonte di reddito irrinunciabile della criminalità, spesso italiana, assecondata e sostenuta dalla compiacente distrazione della politica internazionale.
Il signor X che, nel lungometraggio d’esordio dello specialista in videoclip e spot pubblicitari classe 1967 Federico Brugia, viene incaricato di prelevare da Budapest e trasportare in Italia una ragazza diversa rispetto a quelle che è abituato a "consegnare": Nora alias Orsi Tóth, piccola e fragile donna che ha fame di vita e sogna un futuro migliore.
Un signor X che ricorda in un certo senso il Titta Di Girolamo interpretato da Toni Servillo nell’acclamatissimo "Le conseguenze dell’amore" (2004) di Paolo Sorrentino e che, come anche gli altri personaggi che popolano l’oltre ora e quaranta di visione, è la voce narrante a presentarci; man mano che gli viene chiesto di abbandonare ed uccidere la giovane, trovandosi, quindi, a dover compiere precise scelte destinate a mettere in discussione la sua non-esistenza.
Perché, riservando anche una comparsata di Malika Ayane – che, inoltre, canta "Grovigli" sui titoli di coda – all’interno di un immaginario film in bianco e nero e una del divo del cinema hard Rocco Siffredi, è fondamentalmente classificabile come noir psicologico il debutto di Brugia, uno dei cui aspetti più curiosi risiede nel fatto che ne sia produttore e distributore Luca Lucini, regista di "Tre metri sopra il cielo" (2004) e "Amore, bugie e calcetto" (2008).
Un noir psicologico che non risparmia neppure una colta analogia con "Il cucciolo" (1946) di Clarence Brown, sfoggiando una tutt’altro che disprezzabile confezione tecnica, per merito anche della buona fotografia di Gergely Pohárnok e della cura scenografica.
Ma trovandosi a dover fare i conti proprio con il desiderio da parte di Brugia di raccontare per ellissi e sospensioni situazioni che lascino aperta l’interpretazione dello spettatore, il quale, narcotizzato dagli eccessivamente lenti ritmi di narrazione, rischia soltanto di rimanere a osservare le immagini comprendendone raramente il significato. Difetto tipico della tipologia di spettacolo da schermo che, in cerca della definizione "d’autore", spesso e volentieri non fatica a rivelarsi tanto criptica quanto presuntuosa.
La frase:
"Le emozioni non si possono controllare".
a cura di Francesco Lomuscio
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