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Tiramisù











Fabio De Luigi esordisce alla regia e per farlo utilizza uno dei dolci più amati al mondo, il “Tiramisù”. Il suo film però non è lontanamente buono come il dolce che Aurora (Vittoria Puccini) cucina per il marito Antonio Moscati (Fabio De Luigi), gli amici e che casualmente invece di andare alla Caritas finisce tra le fauci di un medico affermato. Ecco che nel più classico degli schemi della meritocrazia italiana il mediocre venditore di garze riesce ad effettuare una scalata formidabile e a diventare uno dei venditori migliori della piazza.
Attraverso la tecnica del “regalino” porta a casa un portafoglio di clienti notevole, con il solo incorruttibile dott. Galbiati interpretato dal “filosofo” Pippo Franco. Le sue frasi e i suoi insegnamenti sono forse la parte migliore nel film, che manca di ritmo e sceneggiatura.
La ricetta del Tiramisù è piuttosto semplice: uova, caffè, savoiardi, mascarpone e scaglie di cioccolato, ma purtroppo questo esordio di Fabio De Luigi è molto pretenzioso e non riesce a rendere il tutto lineare e godibile. Nemmeno il buon Angelo Duro riesce a risollevare il tutto nei panni del cognato senza scrupoli pronto a tutto per far soldi. Il successo come arriva se ne va rapidamente se non sei in grado di apprezzare le cose davvero importanti nella vita e Antonio Moscati capisce troppo tardi di dover alla moglie molto più che i complimenti per il dolce.
Dietro ad ogni grande uomo c’è una grande donna ed è la fotografia di questo film, ma una fotografia quasi sbiadita proprio per la debole struttura. La regia è pulita e senza sbavature, ma purtroppo non riesce a essere emozionante per lo spettatore e le battute non fanno ridere quasi mai.
La critica alla politica non c’entra molto con il film e probabilmente viene inserita per assicurarsi l’ormai onnipresente finanziamento pubblico che il Ministero dispensa in quantità industriale come il Tiramisù di Aurora.
Una menzione la merita Giulia Bevilacqua, brava e credibile nei panni della collega senza scrupoli che flirta e utilizza il malcapitato Moscati finché le fa comodo per poi metterlo da parte come le garze che vendeva a inizio film.
Il cerchio poi si chiude in un finale il più banale possibile, che lascia soltanto la voglia di degustare presto il dolce proprio per tirarsi su da questa visione fin troppo amara, come se il regista e sceneggiatore Fabio De Luigi abbia sbagliato la ricetta dimenticandosi lo zucchero.
Il cibo è sempre più protagonista al cinema, ma di certo un dolce così buono e famoso meritava ben altro risultato sul grande schermo.

La frase:
"Lo sa che era accettato davanti alle case di tolleranza? Altrimenti non si sarebbe chiamato Tiramisù".

a cura di Thomas Cardinali

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