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Tir











Un road movie, con le dinamiche di un docufilm sulla vita quotidiana di una classe di lavoratori poco conosciuta e poco stimata: i camionisti.
"Tir", Vincitore del Marc'Aurelio d'Oro come miglior film al Festival di Roma 2013, è diretto da Alberto Fasulo che racconta in 90 minuti la storia di un ex professore croato che per necessità è costretto a reimpiegarsi come camionista. Un uomo come tutti gli altri, interpretato da un convincente Branko Zavrsan, che prende con il nuovo lavoro uno stipendio quasi quattro volte maggiore rispetto a quello da insegnante, ma che è costretto per questo a lasciare moglie e figli e a viaggiare fra Italia e Francia. Una vita quotidiana dura, chiusa all’interno dell’abitacolo del guidatore, unica compagnia il telefono, è completamente avulso dalla sua storia, dalla storia della sua famiglia e giorno e notte vive sulla strada.
E’ un vero e proprio documentario caratterizzato da una regia rigida, realistica che cerca di cogliere anche i più piccoli particolari per far ambientare lo spettatore, per permettergli di cogliere la durezza di questa vita fatta di spazi angusti, come il camion con cuccetta, e di spazi aperti interminabili. Centinaia, migliaia di chilometri percorsi giorno per giorno senza mai fermarsi, un fornelletto per cucinare, una tanica per lavarsi creando una doccia improvvisata nel cuore della notte.
Non vi è simbolismo, solo la cruda realtà di una vita dura e solitaria, in cui il sentimento di perdita della propria famiglia e identità diventa giorno per giorno una voragine di sensi di colpa.
“Tir” è una storia particolare, un documentario dall’approccio estremamente realistico, ma con una sceneggiatura costruita a tavolino che porta sulla scena un mondo sconosciuto e a tratti dimenticato. Non c’è denuncia sociale, non c’è speranza solo una fotografia chiara, che accompagna un ritmo lento privo di colpi di scena e di veri contrasti, caratterizzato da dialoghi credibili. E’ proprio questa lentezza a rendere fiacca l’opera che pur originale e intensa non cattura lo spettatore. Manca il gioco dei sentimenti fra regista e pubblico riducendo l’opera a un involucro documentaristico, privo di anima nonostante la ricercatezza dei dettagli.

La frase:
"E questo Goran ti ha sistemato solo le luci o qualche altra cosa?".

a cura di Federica Di Bartolo

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