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La contessa bianca
1936. In una Shangai crocevia multi culturale di rifugiati politici, soldati, potenti uomini d'affari e esponenti della malavita organizzata, si incrociano i destini di due persone: Jackson, ex diplomatico rimasto cieco a causa di un attentato politico; e Sofia, una nobile russa in fuga che si ritrova a lavorare come ballerina nei night club. E' proprio la bella ex-contessa a ispirare Jackson per la realizzazione del suo sogno: costruire un luogo perfetto, un'oasi felice, un night club nel cuore della città cinese. Un rifugio ideale per tutti chiamato "Contessa bianca"...
Il ritorno di James Ivory viene accompagnato da grande aspettativa: autore di sontuose pellicole come "Casa Howard", "La figlia di un soldato non piange mai" e, soprattutto, "Quel che resta del giorno", cui condivide con quest'ultimo lavoro lo stesso sceneggiatore, il regista americano ha saputo ritagliarsi un pubblico internazionale grazie a film realizzati in modo impeccabile e tratti, il più delle volte, da romanzi famosi. "La contessa bianca" non fa eccezione: ispirato dal libro "Diario di un vecchio pazzo" del giapponese Junichiro Tanizaki, il film è una metafora sulla ricerca ossessiva della perfezione in un mondo confuso e disordinato visto attraverso gli occhi di un cieco. Lavoro ambizioso quindi, nel classico stile del regista, ma ci sentiamo di dire riuscito a metà. "La contessa bianca" si trascina a fatica in assenza quasi totale di ritmo, e sorretto da una sceneggiatura non del tutto lucida: quel che pesa allo spettatore è una scelta non convincente da parte del regista nel rappresentare determinati avvenimenti narrativi. La stessa guerra ad esempio, vista sul finire del film attraverso l'attacco giapponese al porto di Shangai, non viene costruita durante lo svolgimento della pellicola, tanto che lo spettatore si ritrova catapultato in uno scenario bellico senza sentirlo veramente. Insomma si contesta quindi un certo distacco emotivo nel racconto della vicenda che non aiuta a creare il giusto pathos nell'appassionarsi alla storia di Jackson.
La vicenda vuole puntare l'accento sull'incontro platonico tra Jackson e Sofia, due personaggi alla ricerca di "pace", che nelle interpretazioni di Ralph Fiennes e Natasha Richardson trovano la più autentica identità filmica. Malgrado Fiennes risulti quasi catatonico nel suo recitare, è soprattutto la Richardson a convincere e a trascinare il film: sorregge la pellicola quasi come fa con il protagonista maschile. Appoggio morale. Convince anche il giapponese Hiroyuki Sanada, già apprezzato ne "L'ultimo samurai", perfetto nell'interpretare un politico corrotto e malavitoso. Il resto del cast comunque è buono, semmai minato, come il resto del film, da un ritmo troppo lento e da una storia troppo prolissa che minaccia qualsiasi forma di impeto passionale.
Concludendo, "La contessa bianca" è un film bello e impegnativo che vanta una fotografia da Oscar, merito di Christopher Doyle, e una sceneggiatura ispirata, del giapponese Kazuo Ishiguro. Malgrado tutto questo però, risulta lento, lungo, e poco emozionante.
La frase: "...Noi tutte, qui dentro, dobbiamo innamorarci di tanto in tanto...".
Diego Altobelli
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