L'ospite inatteso
L’incontro con l’altro, offerto dal Caso, può trasformare un’esistenza. Ne "l’Ospite inatteso" porta al risveglio da una vita solitaria, monotona e al minimo, di un professore universitario vedovo con un figlio lontano (nominato una sola volta, non compare mai), un’unica classe a cui propina un programma invariato nel tempo, una fase di stallo rispetto al libro che sta scrivendo.
Prigioniero del ricordo della moglie pianista, l’uomo cerca inutilmente di imparare a suonare, ma proprio nel linguaggio universale e diretto della musica - approcciando ad un altro strumento per cui capisce di essere portato, e attraverso il quale riesce ad esprimersi - troverà l’apertura al mondo. Per scoprire cosa? Che l’11 Settembre 2001 ha deteriorato la società statunitense: a livello legale con restrizioni sull’immigrazione, a quello di ordine pubblico con agenti indifferenti e duri verso la paura, le difficoltà, la sofferenza di stranieri visti come problema. Il senso di umanità diventa allora il prioritario valore da recuperare.

Curriculum da attore, al secondo film (da lui anche scritto) da regista dopo "The Station", premiato in diversi festival internazionali, Tom McCarthy denuncia le condizioni di detenzione per migranti irregolari in strutture dove vigono luci sempre accese, niente privacy, autorità che tengono all’oscuro i parenti dei reclusi e non danno loro informazioni quando richieste. Per farlo, si avvale di Richard Jenkins (interprete - d’origine teatrale - di un ruolo di prim’ordine, prima catatonico poi indignato) e di una Hiam Abbass in apprensione, di richiami simbolici (all’interno del centro di detenzione, il grottesco manifesto "la forza dell’America: gli immigrati" e un murales con le Twin Towers e la Statua della Libertà, oppure la bandiera a stelle e strisce che si sfoca in dissolvenza) e di emozionanti scene a effetto, come i colloqui con le percussioni mimate e con la lettera visionata attraverso il vetro divisorio, o il protagonista mentre batte sul "djambè" sempre più veloce, rabbiosamente, coperto alla vista dai vagoni e all’udito dal frastuono della metropolitana.

La frase: "Siamo illegali, non abbiamo la cittadinanza. E quando lo scopriranno..."

Federico Raponi

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