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Il destino nel nome
A leggerlo così il titolo del nuovo film di Mira Nair (Leone d'oro a Venezia nel 2001 con Monsoon Wedding) potrebbe sembrare una storia di cappa e spada, una di quelle in cui il nome che si porta presuppone un grande avvenire, magari da re o comunque da cavaliere. Perchè il nome non si sceglie, o almeno é difficile che succeda. E' una di quelle caratteristiche che assieme alla nazionalità sono definite nel momento in cui nasciamo. Nome e luogo di nascita.
E così quando una giovane coppia indiana, da poco trasferitasi negli Stati Uniti, decide di chiamare il loro primo figlio Gogol e non Nick (diminutivo comunque di Nickolay) come lo hanno registrato all'anagrafe, le ragioni sono altre. Perchè Nickolay Gogol nella vita, dopo aver attirato le ire di Nicola I per aver portato in scena la satira di "L'ispettore" andò a vivere all'estero (a Roma, dove scrisse "Il cappotto") integrandosi nella nuova cultura senza però perdere di vista le proprie origini ucraino-russe.
Ecco quindi che la storia del famoso scrittore di "Le anime morti" va ad essere una delle linee guida della storia di questa famiglia di immigrati che cercarono e trovarono negli Stati Uniti un altra patria (la sceneggiatura é tratta dall'omonimo libro di Jhumpa Lahiri). Calcutta come NewYork, il Gange come l'Hudson. Nel giro di una generazione molto si perde del proprio popolo non vivendoci più fianco a fianco, ma non per questo si perde il senso di appartenza. "Il destino di un nome" diventa così un film sulla memoria, sull'identità, sulla necessità che ognuno di noi ha di essere e diventare libero mantenendo comunque saldo il rapporto con le proprie radici. Una storia che non ha grossi picchi emotivi, non affronta con il taglio della commedia il confronto fra la nuova e la vecchia cultura(visto in tanti film), ma che cerca invece di affrontare i propri temi quasi con l'approccio più descrittivo tipico della biografia. Qualcosa andava tagliato (due ore sembrano un pò troppe) e un poco troppo ridondante appare il suggerimento delle diverse chiavi di lettura del film, ma l'intensità della narrazione non scende mai sotto il livello dell'interesse finendo col proporci un quadro più che riuscito, e nel finale anche commuovente, di questo rapporto che alla fine é con se stessi. Perchè, come diceva Borges, :"Qualcunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: quello in cui l'uomo sa sempre chi é".
La frase: "Un libro é viaggiare senza muoversi".
Andrea D'Addio
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