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Professione assassino











Con le fattezze del Jason Statham di "Crank" (2006), Arthur Bishop è un "meccanico", un assassino scelto, estremamente metodico, con un codice molto severo ed un talento unico nell’eliminare in modo impeccabile ogni sua vittima.
Interpretato dal Ben Foster di "Quel treno per Yuma" (2007), invece, Steve McKenna è il figlio del suo grande amico e mentore Harry alias Donald Sutherland, del quale è intenzionato a trovare l’assassino per vendicarne la morte, affiancato proprio dal ragazzo.
Su sceneggiatura del Richard Wenk che esordì registicamente con il sottovalutato vampire-movie "Vamp" (1986) e che curò, inoltre, lo script del bel poliziesco "Solo 2 ore" (2006) di Richard Donner, sono loro a prendere il posto degli originali Charles Bronson e Jan-Michael Vincent in questo rifacimento di "Professione assassino" (1972) di Michael Winner, al cui timone di regia troviamo il Simon West responsabile di "Con Air" (1997) e "Lara Croft: Tomb raider" (2001).
Però, chi si aspetta l’ennesimo action-movie tempestato di inseguimenti automobilistici e distruttive sequenze tutt’altro che realistiche, viene presto smentito, in quanto il manesco Statham, pur concedendo violentissimi momenti soprattutto nel corso della seconda parte della pellicola, si pone questa volta al servizio di una vicenda che, basandosi sulle tematiche universali della vendetta e della redenzione, privilegia la costruzione psicologica dei due protagonisti, il cui rapporto non sembra essere poi molto distante da quello che lega un padre a un figlio.
Anche se la fase finale dei circa 92 minuti di visione, sguazzante tra automezzi distrutti, effetti pirotecnici e lamiere contorte, vale da sola l’acquisto del biglietto per quello che, impreziosito dal buon montaggio di T.G. Herrington e Todd E. Miller, non risulta affatto classificabile tra le tipiche "tamarrate" su celluloide a cui ci ha abituati l’ottimo macho-interprete della serie "Transporter".
A dimostrazione che West non sia capace soltanto di sfornare fracassoni blockbuster proto-Michael Bay, ma anche di confezionare a dovere riusciti prodotti dalla tensione e il ritmo ben dosati; come già fece con l’ingiustamente criticato "Chiamata da uno sconosciuto" (2006), a sua volta remake di "Quando chiama uno sconosciuto" (1979) di Fred Walton.

La frase:
"I lavori migliori sono quelli in cui nessuno si accorge di te".

a cura di Mirko Lomuscio

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