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| Love Guru In America Mike Myers è una vera e propria icona della comicità, un attore che ha scelto sempre con cura i propri personaggi tanto che i suoi venti anni di carriera (iniziò col Saturday Night Live nel 1988) si possono riassumere in: i due episodi di Fusi di testa, Il gatto e il cappello matto e le trilogie di Austin Powers e Shrek (di cui è il doppiatore originale). Per il resto, qualche partecipazione con ruoli di contorno e il drammatico Studio 54. Insomma, un suo film comico è una specie di evento per gli statunitensi e l’aspettativa è sempre quella di vederlo trasformato, grazie al trucco, in un qualche personaggio particolarissimo da dove sprizzare risate e demenzialità.
 Qui, come già il titolo suggerisce, è un guru.
 In un’epoca in cui migliaia di americani si riuniscono negli stadi per ascoltare e cantare le parole dell’ennesimo "illuminato" e le star di Hollywood se ne vanno in Tibet per ritrovare sé stesse o si riuniscono in sette come Scientolgy, quella del santone è diventata una figura portante della società occidentale. Le possibilità di ricamarci sopra battute e comicità di ogni tipo è alta, la presa in giro è  davvero dietro l’angolo, come per tutti i fenomeni di massa del resto.
 Tante premesse per dire che Love Guru, nonostante un attore protagonista altre volte capace e uno spunto interessante, riesce nel difficile compito di non strappare neanche un sorriso al viso dello spettatore. E questo perché parte dal presupposto che il semplice mostrare: Mike Myers con barba lunga e vestiti sgargianti, Justin Timberlake con baffoni e fare da pornostar anni ’80, un nevrotico allenatore nano e un Ben Kingsley con gli occhi strabici che tiene corsi per aspiranti santoni, possa far ridere. La vicenda della squadra d’hockey in crisi a partire dal suo miglior giocatore, tradito dalla moglie, è giusto un pretesto per una serie di digressioni sulla vita del guru e sui suoi pensieri strampalati tolgono quel poco di ritmo alla vicenda. E così, per colmare l’assenza di una storia interessante o di un qualsiasi tipo di costruzione comica, ci si affida continuamente ai soliti peti, rutti, battute sull’importanza della grandezza del pene e roba simile. La presunzione è che lo schifo (come la lotta con gli stracci densi di pipì) possa generare ilarità quando semplicemente provoca disgusto. Neanche lo splendore di  Jessica Alba riesce a far mandare giù questo boccone avariato che, seppur ben confezionato (vestiti e fotografia sono comunque accattivanti), rischia di provocare crisi di rigetto. Ridateci Corrado Guzzanti e il suo Quelo.
 
 La frase: "To know something is good. To do something is God".
 
 Andrea D’Addio
 
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