The Island
Michael Bay é uno dei registi più sottovalutati dell'attuale panorama cinematografico.
I cinefili lo odiano, ritenendo le sue opere come "Armageddon" o "Pearl Harbour", "pomposamente noiose".
Eppure, come ancora una volta ci dimostra questo "The Island", Bay ha invece un buon talento nella fluidità della narrazione, come ha sostenuto anche la rivista prestigiosa "Cahiers du Cinema".
Non può certamente esistere un concetto autoriale nel Cinema di Bay, ma dalla meticolosa cura delle sue immagini é facile notare una passione non solo nel raccontare qualcosa, ma nel raccontarlo nel modo più fluido possibile, complice un montaggio che sappia dosare il tempo filmico creando un ritmo capace di travolgere le aspettative.
La regia di Bay può essere anche standard, nel seguire un manuale registico quasi scolastico, eppure non si può e non si deve definire banale.
E' il dono della gestione spaziale nel cogliere nelle scene, soprattutto in quelle d'azione, tutta la forza delle immagini e la geometricità delle linee che delimitano il quadro cinematografico, con risultato un dinamismo vibrante che si alterna alla confusione della fotografia sgranata nelle scene di fuga sotterranea.

Questa volta siamo in territorio fantascientifico, un mondo futuristico che deve molto a Philip K. Dick (non é un caso se i richiami a "Minority Report" sono persistenti).
Al contrario della maggioranza dei film di fantascienza, in "The Island" i protagonisti non sono gli umani che devono combattere contro androidi/robot, bensì l'esatto contrario: La coppia Ewan McGregor/Scarlett Johansson e' una coppia di cloni, teoricamente incapaci di provare sentimenti ed emozioni, ma chiaramente, dopo i replicanti di BladeRunner sappiamo che ormai tutto é possibile.
A coinvolgerci nelle vicende di questi due cloni é innanzitutto la direzione attoriale, che coglie in entrambi i protagonisti quella credibilità necessaria che li renda molto più umani di quelli veri; poi, la delineazione alienata/alienante che li rende creature fanciullesche ed innocentemente bisognose.

Ma ciò che rende "The Island" qualcosa di superiore alle solite "americanate d'azione" é la cura semiotica di Michael Bay, che imprime le immagini di significazioni e simbologie sotto la pelle, non solo quando sembra riprodurre un puzzle mentale tramite l'uso delle tecniche video-clippare (montaggio frastagliatissimo, 1000 immagini flashate al minuto), ma anche quando riprende a sè la classicità di un semplice campo lungo, proprio come l'ultima scena nella montagna, un urlo del bisogno di essere liberi, perchè in fondo "The Island" é solamente e celatamente un film sulla libertà e sulla voglia di vivere.
Quella di Bay non solo é grande cura della superficie (estetica), ma anche cura di ciò che va oltre l'occhio, in un incontro tra spettatore e qualcosa che non é più solamente etica, ma condivisione e percezione emotiva di una morale non indifferente.

La frase: "Ah sei un clone…, quindi… oddio, sei vergine?"

Pierre Hombrebueno

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