The Host
L’idea di partenza, con un nemico invisibile di natura extraterrestre che provvede a invadere i corpi di uomini e donne cancellando i loro ricordi, non può fare a meno di richiamare alla memoria quella che fu alla base del capolavoro della fantascienza "L’invasione degli ultracorpi", diretto nel lontano 1956 da Don Siegel.
Da non confondere con il monster movie dagli occhi a mandorla "The host", realizzato nel 2006 da Bong Joon-ho, però, il lungometraggio di Andrew Niccol – autore di "Gattaca - La porta dell’universo" e "In time" – prende in realtà il via dalle pagine dell’omonimo best seller di Stephenie Meyer, autrice della popolare saga letteraria "Twilight".
Ma, mentre le avventure vampiresco-sentimentali di Edward Cullen e Bella Swan miravano ad affrontare l’amore romantico, qui, pur essendo esso presente, ci si basa su una storia più adulta e realista, al cui centro abbiamo la ricerca di equilibrio nella vita.
La storia della giovane Melanie Stryder, che, con le fattezze della Saoirse Ronan di "Amabili resti", rischia tutto per proteggere i cari, in quanto, nel suo corpo, si trovano a convivere la propria anima e Wanda, un invasore alieno impiantatole da un Cercatore alias Diane Kruger, il cui compito è, appunto, quello di procacciare "involucri umani" per i nuovi arrivati.
Perché è proprio la lotta per la sopravvivenza degli uomini che le due anime amano a fare da traino alle oltre due ore di visione, immerse in un polveroso scenario da pseudo-western futuristico e, per fortuna, tempestate di attori decisamente più convincenti di quelli visti nella serie twilightiana.
Da Max Irons e Jake Abel, rispettivamente nei panni del fidanzato di Melanie e del ragazzo di cui s’innamora Wanda, al veterano William Hurt in quelli dello zio della protagonista; passando per lo Chandler Canterbury de "Il curioso caso di Benjamin Button", che ricopre il ruolo del fratello.
Tutti al servizio di un elaborato che, nonostante la non disprezzabile confezione tecnica, non può fare a meno di lasciar emergere l’insostenibile fiacchezza che lo attanaglia, complici gli eccessivamente lenti ritmi di narrazione.
Tanto che da un lato abbiamo sequenze d’azione che, tra inseguimenti automobilistici ed elicotteri coinvolti, sembrano quasi rispecchiare quelle poco appassionanti (per il grande schermo) dei telefilm, dall’altro, invece, si rischia di rimpiangere il succitato franchise che ha fatto la fortuna di Robert Pattinson e Kristen Stewart.
Almeno lì si rideva spesso... seppur involontariamente!
La frase:
"Strano vivere in un corpo che non mi permette di usarlo".
a cura di Francesco Lomuscio
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