Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato
Per pochissimi minuti ritroviamo in scena anche il Frodo di Elijah Wood, ma il protagonista di questo primo prequel alla trilogia "Il Signore degli anelli", ambientato sessant’anni addietro rispetto a essa e tratto dal romanzo di J.R.R. Tolkien "Lo hobbit o la riconquista del tesoro", è, in realtà, il Bilbo Baggins che ebbe le fattezze di Ian Holm.
Qui in versione giovane ed incarnato dal Martin Freeman di "Hot fuzz" (2007), infatti, lo vediamo impegnato in un epico viaggio alla riconquista del perduto Regno dei nani di Erebor, finito nelle mani del terribile drago Smaug.
E, mentre si dedica all’eroica impresa affiancato da tredici nani guidati dal leggendario guerriero Thorin Scudo di quercia alias Richard Armitage, non è assente neppure Ian McKellen nei panni del mago Gandalf il Grigio nel corso delle quasi due ore e quaranta di visione che, tra goblin, orchi e un oscuro personaggio detto Negromante, trovano anche il tempo di tirare in ballo una disgustosa situazione infarcita di muco di troll che tanto lascia pensare allo scatenato Peter Jackson dei tempi andati di "Bad taste - Fuori di testa" (1987) e "Splatters - Gli schizzacervelli" (1992).
Il Peter Jackson il cui riconoscibilissimo tocco di grande maestro della Settima arte sfoggiato fino all’ottimo "Amabili resti" (2009) rischia in questo caso di essere snaturato, in particolare, dalla scelta di girare il tutto attraverso l’innovativa tecnologia digitale 3D a quarantotto fotogrammi al secondo.
Scelta che, a partire dall’incipit, non può fare a meno di conferire alle leggermente velocizzate immagini un look tutt’altro che distante da quello di prodotti di solito non destinati al grande schermo; dalle comiche televisive ai documentari, passando per i servizi giornalistici e i videogiochi.
Scelta senza dubbio dovuta al sempre crescente desiderio da parte del pubblico di essere maggiormente coinvolto nello spettacolo su pellicola a cui assiste, ma che, sebbene testimoni un ulteriore progresso nell’ambito della narrazione su celluloide, non può fare a meno di lasciar avvertire la negativa tendenza a voler sostituire il cinema con quella che, in fin dei conti, altro non sembra che un’attrazione da luna park.
Perché, con Guillermo del Toro a figurare tra gli sceneggiatori e le migliori sequenze individuabili, tra l’altro, nell’avvincente battaglia finale, nello scontro tra i giganti di pietra e nella lunga conversazione con l’immancabile Gollum, ancora una volta impersonato da Andy Serkis, sono proprio i connotati di una movimentatissima ma non sempre coinvolgente giostra atta a rimasticare le abusatissime tematiche tolkieniane quelli che finisce per assumere questo primo tassello della già annunciata trilogia destinata a completarsi con "Lo hobbit - La desolazione di Smaug" (2013) e "Lo hobbit - Andata e ritorno" (2014).
Quindi, è inutile stare a ribadire che la spettacolarità non manca e che gli irriducibili fan della serie non rimarranno affatto delusi; in quanto non siamo altro che dinanzi all’ennesima operazione dettata dalle leggi di mercato che, comunque, non priva della consueta ironia jacksoniana e volta, inoltre, a ricordare che il vero coraggio non si basa su quando prendere una vita, ma su quando risparmiarla, con ogni probabilità potrebbe lasciarsi apprezzare maggiormente se visionata nella maniera classica, senza l’ausilio dei famigerati occhiali.
La frase:
"Tutte le belle storie meritano un’infiorettatura".
a cura di Francesco Lomuscio
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