Babadook
È dal suo cortometraggio "Monster" (2005) che prende il via l’opera prima di Jennifer Kent, il cui titolo fa riferimento alla creatura che il piccolo Samuel alias Noah Wiseman è convinto di vedere nei propri incubi.
Creatura scoperta in un inquietante libro pop up arrivato in casa, dove vive insieme alla madre Amelia, ovvero la Essie Davis di "Australia" (2008), ancora in lutto per la violenta morte del marito, avvenuta sei anni prima, e che, seriamente spaventata dal comportamento del figlio, sempre più imprevedibile a causa delle incontrollabili allucinazioni, si vede costretta a fargli assumere dei farmaci.
D’altra parte, man mano che la donna comincia a percepire una presenza sinistra intorno a lei e che fanno la loro entrata in scena anche due assistenti sociali, risulta evidente che l’intento della oltre ora e mezza di visione sia quello di fornire una riflessione in salsa horror relativa alla rabbia che non sempre i genitori riescono nell’impresa di controllare o, comunque, di reprimere durante il quotidiano vivere familiare.
Ed è tra una cucina infestata di scarafaggi e omaggi televisivi al telefilm "Skipper" e allo spaventoso episodio "La goccia d’acqua" incluso ne "I tre volti della paura" (1963) di Mario Bava che viene costruita la lunga e lenta prima parte d’attesa dell’operazione, immersa nella cupa atmosfera garantita dalla fotografia di Radek Ladczuk e non priva di rumori sospetti.
Ma solo per approdare agli ultimi trenta minuti di pellicola che, con i due ottimi protagonisti soli nella loro abitazione, più del resto viene riservata all’intrattenimento orrorifico, rispecchiando non poco una certa celluloide demoniaca risalente agli anni Settanta e senza dimenticare, ovviamente, rimandi a "L’esorcista" (1973) di William Friedkin.
Sebbene, in generale, non sembrino mancare neppure momenti che ricordano la saga iniziata con "Il presagio" (1976) di Richard Donner (citiamo soltanto la sequenza della bambina spinta giù dalla casetta sull’albero, simile ad una analoga presente in “Omen IV: Presagio infernale” di Jorge Montesi e Dominique Othenin-Girard)... al servizio di un insieme che, tecnicamente lodevole ed infarcito di grida destinate a valorizzare ulteriormente l’apporto pauroso del consueto sonoro, pur senza spingere a gridare al capolavoro (ma andando, comunque, oltre la media) si distacca dall’infinità di ghost story e diavolerie su celluloide succedute al gettonatissimo “Insidious” (2010) di James Wan grazie, appunto, al succitato retrogusto di denuncia nei confronti della non sempre rosea convivenza tra genitrici e prole.
La frase:
"Che sia in una parola o in uno sguardo, non puoi liberarti di Babadook".
a cura di Francesco Lomuscio
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