The Act of Killing - L'atto di uccidere
Nel 1965 in Indonesia, con la conquista del potere del generale Suharto, ebbe inizio uno sterminio dei comunisti e dei loro simpatizzanti che avrebbe provocato quasi un milione di vittime. Il documentario di Joshua Oppenheimer si muove alla ricerca dell’eredità morale lasciata ai responsabili e agli esecutori del massacro. Sollecitati dal regista, accettano di riprodurre le violenze di cui si sono resi protagonisti, improvvisandosi attori di fronte a una telecamera.
Protetti da una società che loro stessi hanno contribuito a creare, in cui le loro azioni li hanno consacrati allo statuto di eroi padri della nazione, non esitano a sbandierare l’orgoglio che gli procura l’essere stati assassini, sbeffeggiandosi dei trattati internazionali per cui sono etichettati come criminali di guerra. "I trattati sono fatti dai vincitori. Un giorno ci sarà il trattato di Jakarta, e detteremo noi le regole". Impazienti di mostrare all’intero paese i metodi con cui hanno conquistato tanta gloria, riproducono con noncuranza gli strangolamenti con il fil di ferro e gli incendi appiccati nei villaggi abitati dai nemici. La stessa televisione li celebra, applaudendo alle loro battute pregne d’odio sullo sterminio.
Ma la cosa più sconvolgente è la naturalezza e la serenità con cui raccontano del proprio passato, uomini ormai benestanti, padri di famiglia tornati a condurre una vita ordinaria, privi di rimorsi se non (per qualcuno) qualche raro incubo. Il film getta contemporaneamente uno sguardo sull’intera società indonesiana, repubblica con forti segnali di totalitarismo (Pemuda Pancasila o Gioventù Pancasila), e sul marcio che si è impossessato dell’anima di tanti assassini, documentando dichiarazioni tragicamente indimenticabili come quelle di chi si gloria di aver stuprato bambine di 14 anni, figlie di comunisti, sussurrando al loro orecchio: "Sarà un inferno per te, ma un paradiso in terra per me".
La macchina da presa di Oppenheimer si limita a osservare l’orrore, senza mai forzare la mano per aggiungere inutile pathos ad immagini che da sole hanno una forza incredibile e senza mai innalzarsi a sguardo-giudice, cercando di comprendere ma mai di giustificare. E se quando si chiede al carnefice di interpretare la vittima, questo arriva ad avere conati di vomito e a chiedere perdono a Dio, allora forse il film ha compiuto davvero il suo dovere. Un capolavoro.
La frase:
"Ho peccato? Dovrò pagare un giorno per quello che ho fatto? Spero di no".
a cura di Luca Renucci
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